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venerdì 12 novembre 2010

In che misura​​​​​​​​​​​​ contribuire?​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

"12 La buona volontà, quando c'è, è gradita in ragione di quello che uno possiede e non di quello che non ha. 13 Infatti non si tratta di mettere voi nel bisogno per dare sollievo agli altri, ma di seguire un principio di uguaglianza; 14 nelle attuali circostanze, la vostra abbondanza serve a supplire al loro bisogno, perché la loro abbondanza supplisca altresì al vostro bisogno, affinché ci sia uguaglianza, secondo quel che è scritto: 15 'Chi aveva raccolto molto non ne ebbe di troppo, e chi aveva raccolto poco, non ne ebbe troppo poco'"
(2 Corinzi 8:12-15).

Il cristiano, secondo l'insegnamento e l'esempio di Cristo, deve interessarsi fattivamente per sovvenire ai bisogni del prossimo: questo è un dato "fondante" della sua confessione di fede. L'esortazione apostolica è: "Finché ne abbiamo l'opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede" (Galati 6:10). Gesù stesso, rivolgendosi ai Suoi discepoli ed impegnandoli a guarire gli ammalati, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi e scacciare i demòni, dice: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Matteo 10:8). L'apostolo Paolo, inoltre, in riferimento al lavoro secolare che egli era stato disposto a svolgere per non essere d'aggravio economico alle chiese, cita le parole di Gesù che dicono: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (cfr. Atti 20:32-35).
Se questo è, com'è, il principio cristiano di base, rimane aperta la questione​ del "quanto" dare e "a chi". Anche i cristiani di Corinto si ponevano queste domande e Paolo risponde loro proponendo, in 8:11-15 delle linee direttrici. Quali sono i criteri della carità cristiana?
Il criterio è quello della "decima"?
Sono molti coloro oggi che, al riguardo del "quanto" dare non hanno alcuna esistazione a rispondere dicendo che il cristiano sia tenuto a contribuire in ragione del 10% delle sue entrate, cosa che viene chiamata "la decima". È sorprendente, però, come né qui né in alcun altro luogo delle sue lettere, l'Apostolo non ne parli mai! Di fatto, la pratica della "decima" è un concetto del tutto assente dal Nuovo Testamento: nessun scrittore ispirato la comanda o la propone come normativa, neanche occasionalmente. Come possano, perciò, alcuni dare per scontato che la decima sia la pratica riconosciuta dal Nuovo Testamento, è cosa che lascia perplessi, soprattutto quando la decima, in certe chiese, viene imposta ai cristiani con insistenza legalistica.
Il vocabolario italiano definisce la "decima" come: "Decima parte del raccolto o del reddito di altre attività economiche che veniva versato al signore feudale o alla chiesa". Sebbene la decima sia comunemente associata con l'antico Israele e la legge veterotestamentaria, essa era praticata ampiamente pure da altri popoli antichi e precede il tempo di Mosè. I faraoni egiziani la pretendevano: "...al tempo della raccolta, ne darete il quinto al faraone; quattro parti saranno vostre, per seminare i campi e per nutrirvi con quelli che sono in casa vostra e con i vostri bambini" (Genesi 47:24). Solo apparentemente equa, Samuele la considerava un pesante fardello implicito al fatto di avere un re: sia l'una che l'altro cose che essi avrebbero ben potuto farne a meno! "...prenderà la decima delle vostre sementi e delle vostre vigne per darla ai suoi eunuchi e ai suoi servitori.  ... Prenderà la decima delle vostre greggi e voi sarete suoi schiavi. Allora griderete a causa del re che vi sarete scelto, ma in quel giorno il SIGNORE non vi risponderà»" (1 Samuele 8:10-18).

Sotto la legge di Mosè ad Israele ​era comandato di dare un decimo delle raccolte del suolo, sia dei frutti degli alberi, dell'armento o del gregge, "il decimo capo di tutto ciò che passa sotto la verga del pastore" per sostenere i Leviti, che non avevano beni propri (Levitico 27:30-32; Numero 18:21-24). Essa doveva essere la loro remunerazione per l'opera che svolgevano servendo al tabernacolo. Ai Leviti, a loro volta, era richiesto di dare un decimo della decima d'Israele ai sacerdoti (Numeri 18:25-29). A loro era permesso di tenere i propri armenti in 48 città a questo designare, alle quali erano forzati a ritornae durante tempi di apostasia allorché le decime venissero trascurate (Numeri 35:1-8; Neemia 13:1o). Dopo l'esilio, era responsabilità dei Leviti raccogliere le decime nelle città dove vivevano e consegnarle a Gerusalemme (Neemia 10:37-39). I Leviti non erano gli unici beneficiari delle decime. Ogni tre anni, la decima parte della produzione dell'anno doveva essere riservata agli stranieri, agli orfani ed alle vedove (Deuteronomio 14:28-29).
Gesù fa riferimento alla decima quando condanna i Farisei di trascurare la giustizia e l'amore per Dio ​ed insistere sul pagare diligentemente la decima su ogni cosa (Matteo 23:23; Luca 11:42), ma non dà alcuna istruzione ai Suoi discepoli di praticarla nell'ambito della chiesa. Avrebbe, infatti, potuto una tale legge, così legata ad un'economia agricola e ad una forma teocratica di governo, essere applicata ad una istituzione come la chiesa? Il totale silenzio al riguardo del Nuovo Testamento è significativo.
In 1 Corinzi 9 è detto che coloro che compiono dei servizi nell'ambito delle chiese debbano essere compensati: "Il Signore ha ordinato che coloro che annunciano il vangelo vivano del vangelo" (1 Corinzi 9:14). Le linee guida per questo necessario contributo, però, non sono la pratica della decima: le istruzioni dell'Apostolo hanno più a che fare con lo Spirito del patto che con la lettera (cfr. 2 Corinzi 3:6).
I criteri cristiani sono diversi dalla "decima"
Di fatto, il criterio cristiano del dare è diverso e più alto di quello espresso dalla tradizionale decima. Quando l'Apostolo consiglia i Cornzi sul "quanto" dare, egli dice loro che, prima di tutto, essi devono dare: "secondo le [vostre] possibilità" (8:11), lett. "secondo il vostro avere" (Diodati), "secondo i vostri mezzi" (CEI). L'implicazione è ovvia: i contributi devono essere basati su quel che effettivamente si guadagna, non su quello che si spera (il guadagno presunto).
1. Ecco così che, in primo luogo, il dare deve essere "in ragione di quello che uno possiede" (v. 12),  secondo "quello che uno ha" (Riv.). Non si parla qui di una percentuale fissa. Lo stesso l'Apostolo dice in 1 Corinzi 16:2: "Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi, a casa, metta da parte quello che potrà secondo la prosperità concessagli",  vale a dire: "ciò che gli è riuscito di risparmiare" (CEI), "in base alle sue entrate" (ND), "ciò che gli sarà comodo" (Diodati)! Un dono proporzionale, di fatto, si rivela più giusto che la tradizionale decima che solo in apparenza è proporzionale! Infatti, il 10% sarebbe trascurabile per una persona benestante, ma diventa un fardello molto pesante per l'indigente. Ecco perché Gesù loda la vedova che "offre due spiccioli", perché quelli le sarebbero stati necessari per le sue necessità ("In verità vi dico che questa povera vedova ha messo più di tutti ... tutto quello che aveva per vivere") mentre gli altri "hanno messo nelle offerte del loro superfluo" (Luca 21:4). Gesù non dice qui di offrire tutto quel che si ha per vivere, ma solo mette in evidenza come i ricchi, nel loro dono, non avessero fatto alcun reale sacrificio. Questo si accorda con quanto Gesù insegna sul fatto che siamo responsabili in proporzione diretta di quanto Dio ci ha benedetto: "A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà" (Luca 12:48).

2. In secondo luogo, bisogna provvedere ai bisogni degli altri sulla base, estratto da quello che abbiamo guadagnato in più delle nostre necessità (il surplus) non da quanto ci serve per le nostre necessità di base ("dalla nostra abbondanza" v. 12). Le chiese macedoni, nel trarre il loro contributo "dalla loro povertà", erano l'eccezione, non la regola. La norma è che il nostro "di più" (del necessario) compensi, pareggi, coloro che hanno "di meno" del necessario, affinché vi sia "uguaglianza", "equità", o meglio, "reciprocità": le chiese della Palestina hanno loro elargito beni spirituali, essi contraccambiano con beni materiali. Fra le comunità ed i singoli cristiani vi deve essere interdipendenza.
3. In terzo luogo, vi deve essere un bisogno autentico. Il "bisogno autentico" ha a che fare con la mancanza di mezzi di sussistenza basilari: "di che nutrirci e di che coprirci" (1 Timoteo 6:8) per sovvenire alla "fame ...sete, ...freddo ...nudità​" (1 Corinzi 11:27). La chiesa locale non può tollerare che esistano condizioni di questo tipo, soprattutto fra i suoi membri.  
4. In ultima analisi,  la "proporzione" del dare sta nell'atteggiamento del proprio cuore. Il cristiano dà "di buona volontà" (8:12). L'importante non è quanto, ma come. Il dono è accettevole  quando è dato: "non di mala voglia, né per forza" (2 Corinzi 9:7).​ Non deve essere un'imposizione, come se non ve ne fossero alternative, qualcosa di dato sotto una qualsiasi pressione.
5.In quinto luogo, bisogna dare con gioia "perché Dio ama un donatore gioioso"​. Un "donatore gioioso" è la persona che è contenta nel dare generosamente, che lo fa volentieri.
Il fine di queste istruzioni generali non è quello di essere d'aggravio ad alcuno. L'apostolo non intende sollevare uno ed aggravare l'altro​. Le sue parole non sono finalizzate ad operare una rivalsa su chi è ricco, come se non avesse diritto a quella sua abbondanza. Non tutte le ricchezze sono ingiuste. Paolo non sta denunciando i benestanti, come se i loro beni fossero sempre il risultato di ingiustizie. In questo caso non lo sono, sennò lo avrebbe rilevato. Paolo non sta nemmeno delineando una teoria economica che un ipotetico "governo cristiano" debba imporre. Egli non sta teorizzando, come un Marx ante-litteram, una sorta di comunismo che livelli tutto e tutti. L'uguaglianza che qui si auspica non è qualcosa da realizzare con imposizioni. Paolo non lo "comanda" come se dicesse: "Se non fate così vi scomunico...", ma, di fatto, come potrebbero alcuni cristiani andare in giro nel lusso e sprecare risorse quando altri sono nell'indigenza? Egli intende​ promuovere una condivisione volontaria fondata sulla solidarietà.
L'esempio che Paolo adduce al termine di questo brano è quello della manna che Israele riceve da Dio durante l'esodo nel deserto: "Chi ne aveva raccolto molto non ne ebbe in eccesso; e chi ne aveva raccolto poco non gliene mancava. Ognuno ne raccolse quanto gliene occorreva per il suo nutrimento" (Esodo 16:18).​ La manna non poteva essere accumulata, ma raccolta secondo le proprie necessità giorno per giorno e condivisa. Dio fa in modo così, anche attraverso la condivisione, che tutti abbiano il necessario. 
Nel deserto era Dio che assicurava l'equità del raccolto, oggi è responsabilità di ciascun credente.
PreghieraTi ringrazio, Signore, di avermi reso parte del popolo di Dio, popolo sparso in tutti i paesi chiamato a seguire le orme del Signore e Salvatore Gesù Cristo. Che io sia sensibile ai bisogni di tutti e specialmente quelli dei miei fratelli e sorelle nella fede. Con loro voglio condividere, e con gioia, ciò che mi hai donato affinché io non mi accaparri egoisticamente le risorse che mi fornisci nella Tua provvidenza, ma che io sia sempre disposto a condividerle per il beneficio di tutti, perché facciamo parte di un unico corpo. Nel nome di Cristo. Amen.

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