Pagine

sabato 24 settembre 2011

Dimmi che cosa canti e ti dirò chi sei…

Ci sono poche cose nella vita che siano più fondamentali del cibo che c’è (o non c’è) sulla nostra tavola. Il cibo è associato con la famiglia, con le celebrazioni e con le fonti e ritmi della vita stessa e con il significato dell’essere umani in questo mondo.

Nel suo “Fisiologia del gusto - Meditazioni di gastronomia trascendentale” l’intellettuale e gastronomo francese Jean Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826) introduce per la prima volta la famosa espressione: “Dimmi che cosa mangi e ti dirò chi sei”. Nel mondo moderno temiamo di dare risposta ad una simile questione. In un mondo in cui innumerevoli sostanze tossiche si introducono nei nostri cibi e le minacce alla nostra salute interessano persino la funzione più fondamentale della nostra vita come la nutrizione, abbiamo ben motivo di domandarci che cosa noi si stia diventando come risultato di ciò che mangiamo. Ciò che mangiamo determina la nostra salute generale (in Occidente con problemi come l’obesità e le allergie), l’energia che abbiamo per adempiere ai nostri doveri, il nostro umore e la nostra condizione psicologica. Il nostro benessere dipende dalla qualità del cibo che mangiamo.

Allo stesso modo potremmo dire: “Dimmi che cosa leggi e guardi e ti dirò chi sei”. Non solo che cosa mangiamo, ma anche che cosa assorbiamo con la nostra mente attraverso orecchi ed occhi, determina la nostra salute psicologica e spirituale. Si tratta di “cose di qualità” o solo “robaccia” ciò che nutre e determina il nostro spirito e la nostra mente? Per la salute del nostro spirito e della nostra mente, di cuore raccomandiamo non “fast food”, ma “slow food”.

Ecco perché Dio, nella Sua Parola, attraverso l’apostolo Paolo, nella lettera ai Colossesi, ci esorta con le seguenti parole: “La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l'impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali” (Colossesi 3:16).

La “parola di Cristo”, nel Nuovo Testamento, equivale a “Parola di Dio”, nella sua interezza, dato che i cristiani confessano che Gesù, il Cristo, è l’eterno Logos che era sin dal principio con Dio, la Sua sapienza, attraverso il quale è stata creata ogni cosa e che ci parla attraverso la Bibbia. Egli è la fonte della vita e la vita, nella Sua pienezza, può essere trovata solo in Lui. Allo stesso modo troviamo nella Bibbia (in riferimento al Salmo 95:8-11):“Come dice lo Spirito Santo…” (Ebrei 3:7). Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ha ispirato le Sacre Scritture ed attraverso di esse ci parla e ci nutre spiritualmente. Gesù stesso dice: «Sta scritto: "Non di pane soltanto vivrà l'uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio»” (Matteo 4:3).

E’ così che la Parola di Dio contenuta nell’intera Bibbia è il cibo ricco, sano e nutriente mediante il quale noi viviamo. Non c’è infatti cibo migliore e più sano per la nostra mente ed il nostro spirito che la Parola ispirata di Dio. Ecco perrché “la parola di Cristo” deve “abitare” in noi abbondantemente. Essa non è sostituibile, rimpiazzabile, con nessun’altra parola umana, nemmeno la più elevata e rispettata o quella che pure da essa è ispirata. Quando abbiamo la “fonte primaria” nessuna “fonte secondaria” è comparabile. La nostra “dieta spirituale” deve essere primariamente la parola ispirata dell’intera Bibbia.

Lo stesso testo dalla lettera ai Colossesi ci dice in che modo la nostra mente ed il nostro spirito può essere nutrito dalla Parola ispirata del Cristo. L’Apostolo menziona, infatti, tre modi principali mediante i quali noi, come cristiani, condividiamo il cibo spirituale di Dio:

· L’istruzione (compiuta soprattutto attraverso la predicazione e lo studio della Bibbia).

· L’esortazione (compiuta attraverso la cura pastorale e quella che i cristiani esercitano l’uno verso l’altro) attraverso la quale applichiamo la volontà rivelata di Dio ai vari aspetti della nostra vita.

· Il canto delle parole ispirate della Bibbia, particolarmente dei Salterio, che costituisce l’innario per eccellenza del popolo di Dio di ogni tempo e paese.

Può sembrare sorprendente per alcuni che l’Apostolo menzioni il canto come uno dei modi principali attraverso i quali possiamo essere nutriti con la parola di Cristo. Il canto, infatti, non è un aspetto circostanziale del culto che a Dio è dovuto, qualcosa che dipenda solo dalla nostra cultura o tradizione umana. Il canto è prescritto da Dio non meno che la predicazione, lo studio della Bibbia e la cura spirituale che noi ci dobbiamo l’un l’altro! Proprio come la predicazione cristiana è l’esposizione del contenuto della Bibbia, e l’esortazione è l’applicazione dello stesso insegnamento alla nostra vita, così il canto, nel contesto del culto (in cui ci nutriamo della parola di Cristo) deve avere come suo diretto contenuto la stessa Parola che Dio ha ispirato.

Possiamo così, di conseguenza, dire che noi non dobbiamo solo leggere la Bibbia, ma che dobbiamo pure cantarla. Questa pratica è testimoniata dalla millenaria pratica del popolo di Dio sin dall’antichità, sia nel mondo israelita che in ogni ramo del Cristianesimo.

Non c’è alcun dubbio che il canto sia uno dei mezzi più potenti che abbiamo per raggiungere il cuore stesso dell’essere umano. Lo si rileva in ogni cultura umana. Gli amanti hanno da sempre cantato serenate per esprimere reciprocamente il proprio amore. I pubblicitari stessi, nel comporre i loro motivetti cattivanti, sanno che il canto e la musica imprimono segni indelebili nella mente umana e quindi “fanno vendere” i prodotti che pubblicizzano.

Il canto è così potente che, per i cristiani, non meno che la stessa Parola ispirata di Dio deve esserne il contenuto, perché la Parola di Dio penetra in questo modo nel cuore umano in modo unico. Il canto della Parola ispirata di Dio, in particolare del Salterio, è stata la pratica costante di innumerevoli generazioni nel passato. Questa pratica, però, è gradualmente svanita nell’era moderna per essere sostituita con il canto di composizioni umane che, nonostante siano state fatte con le migliori intenzioni, non possono essere equiparate con la Parola stessa, di prima mano, che Dio ha ispirato. Perché sostituire con parole “di seconda mano” il canto delle parole stesse di Dio? C’è veramente da sospettare (ma è più di un “sospetto”) che “altri vangeli”, altri messaggi, abbiano voluto spodestare la Parola di Dio per insinuarsi più facilmente, attraverso il canto, nelle coscienze umane, come la zizzania fra il grano. Quanto spesso, infatti, fra i canti cristiani che molte chiese introducono nel culto, si trova materiale molto scadente, teologie discutibili, filosofie aliene e veri e propri errori! E’ così che il popolo di Dio viene privato, anche attraverso il canto, della pura Parola di Dio. Tanto ci hanno abituato a questo “fast food” spirituale, a cibi artificiali e contaminati che nemmeno più sappiamo (e persino disprezziamo) che esiste il puro “latte materno” che ci sarebbe sicuramente più confacente!

Ecco perché l’Apostolo ci dice che, quando rendiamo a Dio il culto che Gli è dovuto, per poter nutrire la nostra anima ed affinché “abiti” in noi la Parola di Cristo, dobbiamo cantare “salmi, inni e cantici spirituali”.

Il cristiano medio oggi neanche è più consapevole che per i cristiani del Nuovo Testamento l’espressione “salmi, inni e cantici spirituali”non si riferisce, come crediamo oggi, a tre tipi di composizioni musicali: i Salmi, gli inni e i cantici spirituali, vale a dire i Salmi ispirati della Bibbia, insieme ad inni e cori composti da altri che non siano gli autori biblici.

Nel Giudaismo di lingua greca l’espressione: “salmi, inni e cantici spirituali” era il modo comune usato per riferirsi al Salterio biblico, al centro della nostra Bibbia, la raccolta di salmi, inni e cantici spirituali composta dall’antico Davide (figura di Cristo) insieme ad altri autori che la Bibbia include nella categoria profetica di “veggenti” ispirati da Dio.

Di più: nel testo originale l’aggettivo “spirituali”, cioè, “ispirati da Dio” non va attribuito soltanto a “cantici”, ma anche a “salmi” e ad “inni”, indicando come il contenuto di questi canti deve essere la Parola ispirata in modo unico da Dio stesso, la Parola di Cristo. Il Canone biblico ha fissato una volta per sempre che cosa sia da considerarsi Parola ispirata di Dio, vale a dire i 66 libri della Bibbia e null’altro. Quali altre composizioni umane, quali altri canti, vorremmo considerare pure “parola di Dio”? Chi oserebbe dire altrettanto? Il canto di testi non contenuti letteralmente nella Bibbia, per quanto li potremmo considerare altissime ed “ispirate” composizioni poetiche, non saranno mai equivalenti alla pura Parola di Dio, che siamo chiamati a cantare ed a renderla nostro cibo spirituale. Quale compositore, anche fra i più classici e rispettati, ci potrebbe fornire la Parola di Dio per nutrire la nostra anima, magari riveduta, corretta, integrata o “spiegata” come se non fosse abbastanza chiara?

Ogni generazione di cristiani è chiamata ad esaminare attentamente la propria fede e la propria pratica per verificare se essa sia coerente con la volontà di Dio rivelata attraverso i libri che compongono la Bibbia.

Che cosa realmente Dio prescrive per il culto che noi Gli dobbiamo rendere? Che cosa Egli ci dice al riguardo del contenuto dei canti che noi usiamo durante il culto? Qual è l’esempio (normativo) di Gesù e della Chiesa primitiva? Che cosa possiamo dedurre al riguardo dal messaggio generale del Nuovo Testamento? Queste ed altre questioni ci conducono a conservare ed a ristabilire nel culto della Chiesa il canto della Parola ispirata di Dio, della quale il Salterio ne sta l cuore stesso come nostro comune ed ispirato innario. Come potremmo volerne un’altro? Tutte le obiezioni che possono essere fatte al suo riguardo non reggono ad un esame attento e realmente informato.

Ecco così, allora, che potremmo dire: “Dimmi che cosa canti e ti dirò chi sei”.

Nessun commento:

Posta un commento