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lunedì 11 giugno 2012

"Predica l'Evangelo: usa le parole solo se necessario" ????

Si sente talvolta ripetere una frase attribuita a Francesco d'Assisi che dice: "Predica l'Evangelo: usa le parole solo se necessario". Si tratta di una battuta che mette in evidenza la necessità che chi annuncia l'Evangelo debba darne pure testimonianza coerente attraverso il suo comportamento.

Questa affermazione, però, comporta non pochi problemi. In primo luogo, non c' è evidenza alcuna che Francesco l'abbia mai pronunciata. Inoltre Francesco di Assisi era un valente predicatore e spesso predicava fino a cinque volte al giorno.

Al di là della necessità che alle nostre parole debbano corrispondere i fatti, di fatto la frase: "Predica l'Evangelo: usa le parole solo se necessario" riflette un tipico presupposto moderno, anzi, postmoderno. Uno dei presupposti del post-modernismo, infatti, è che le parole in sé stesse siano fondamentalmente prive di significato. In modo sottile quest'affermazione denigra il fatto che i profeti, Gesù e Paolo, attribuissero grande importanza alla predicazione. Certo, alle parole devono seguire i fatti, ma l'Evangelo è essenzialmente un messaggio oggettivo che s'incentra su una Persona radicata nella storia che ha influenzato e che ancora determina la vita di innumerevoli uomini e donne nel mondo intero.

Il vero problema è che affermazioni cone quella che abbiamo citato valgono solo fino ad un certo punto e di fatto ci danno un'immagine distorta dell'Evangelo e di come esso salvi dei peccatori. Per quanto sia necessario "vivere l'Evangelo" ed "essere Evangelo", l'Evangelo non siamo noi, ma, così come lo riassume l'Apostolo Paolo, è la vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo, attraverso il quale il peccato è espiato, dei peccatori sono riconciliati con Dio, e la speranza della risurrezione che attende tutti coloro che a Lui si affidano. L'Evangelo è storia, è l'annuncio di qualcosa che di fatto è avvenuto. Dato poiche l'Evangelo è l'opera salvifica del Cristo, esso non è qualcosa che noi si faccia. Noi siamo chiamati a viverne le implicazioni e le conseguenze, ma se vogliamo far conoscere l'Evangelo dobbiamo necessariamente parlare, fare uso di parole che rimandino l'uditore a quell'evento oggettivo.

Oggi accade che la proclamazione stia perdendo la sua importanza centrale anche in chiese che si definiscono evangeliche. L'esplicita proclamazione, però, è il, compito centrale della fede cristiana. Essa non è l'unico compito che sia stato dato alla chiesa cristiana, ma è il più importante. Sebbene il compito di fare discepoli implichi molto più che comunicazione verbale e che la vita di un discepolo debba incarnare l'Evangelo, Dio ha dato alla chiesa il compito di "proclamare l'eccellenza" del nostro Salvatore.

Una vita realmente vissuta in sintonia con Dio deve servire come testimonianza del messaggio che proclamiamo, ma senza le parole come potrebbero le nostre azioni se non indicare soltanto noi stessi? Una vita coerente con l'Evangelo, se non è spiegata attraverso parole, non può far conoscere la Persona e l'opera del Salvatore Gesù Cristo che ha dato sé stesso come prezzo del riscatto di molti peccatori, oppure la speranza della redenzione per sola grazia attraverso la sola fede. Non possiamo essere buona notizia, ma ne possiamo essere gli araldi, cantarla, parlarla e predicarla a tutti coloro che ascoltano. Di fatto, la comunicazione verbale dell'Evangelo è l'unico mezzo mediante il quale dei peccatori possono essere posti in giusto rapporto con Dio.

A questo riguardo l'apostolo Paolo scrive: "Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio" (1 Corinzi 1:18).

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