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martedì 21 agosto 2012

Gesù: un nome profetico [il Cristo, 6]

D. 41. Perché il nostro Mediatore è chiamato Gesù? 
R. Il nostro Mediatore è chiamato Gesù perché Egli salva il Suo popolo dai loro peccati. [Catechismo Maggiore di Westminster, D/R 41].
Il nome che in italiano rendiamo con "Gesù" è una forma greca che corrisponde al nome ebraico "Giosuè" e che significa "Jahvè è salvezza". Non si tratta di un titolo, ma di un nome personale. Anticamente i nomi venivano attribuiti non prevalentemente in modo arbitrario o basati sulle preferenze soggettive della famiglia, né perché "suonassero bene" o per tradizione, ma erano spesso degli auspici, manifestavano un carattere o un desiderio.

La decisione di chiamare "Gesù" il figlio di Maria era stata indicata a Giuseppe da un angelo del Signore che gli era apparso in sogno e, indubbiamente, aveva carattere profetico. La ragione di quel nome viene precisata a chiare lettere: "tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati" (Matteo 1:21).

Per "salvare" qui si indica dedicare tutta la Sua vita e la Sua morte per redimere il Suo popolo dal peccato e dalle sue conseguenze, dando loro il Suo Spirito per rinnovarli; significa metterli in grado, con la Sua potenza, di sconfiggere i loro nemici spirituali, difenderli dai pericoli, guidarli sul sentiero del dovere, sostenerli nelle prove e nella morte, resuscitarli, infine, nell’ultimo giorno per esaltarli in una dimensione di purezza ed amore.

Per "Suo popolo", però, qui non si intende il popolo etnico di Israele a cui apparteneva, ma tutti coloro che Gli sono stati affidati per essere da Lui salvati (il che certamente comprende quegli israeliti che in Lui ripongono la loro fede). "...giacché gli hai dato autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dati" (Giovanni 17:2).

Per "peccati" si intende tutto ciò che la Parola di Dio indica come tali, insieme alle loro conseguenze negative temporali ed eterne.

In questa specifica rivelazione sono presenti le grandi verità della nostra fede, verità non accessorie a questo testo o ivi casualmente presenti, ma di importanza centrale.

(1) La salvezza dal peccato e dalle sue conseguenze è realizzata da un Redentore provveduto da Dio e non è cosa che noi si possa realizzare da soli. Coloro che ritengono di non averne bisogno o perché negano di essere in una drammatica condizione di perdizione o perché suppongono di risolvere il problema da soli, sono spiritualmente ciechi e autolesionisti.

(2) Il nostro Redentore salva di fatto il Suo popolo dai loro peccati, non dà loro semplicemente "un'opportunità" di salvarsi né la Sua è semplicemente "un offerta" di salvezza. Egli fa tutto ciò che è necessario affinché essi siano salvati nel tempo e nell'eternità. L’opera di Cristo è sempre efficace. Il Cristo non è e sarà mai deluso e frustrato.

(3) Il nostro Redentore salva per grazia una porzione soltanto del genere umano, identificata in questo testo come "il Suo popolo", gli eletti di Dio. Egli non è inviato nel mondo per salvare "tutti", né per cercare di salvare tutti, ma per salvare "il Suo popolo".

La dottrina dell'estensione limitata della redenzione non può essere compresa se non si tiene conto dei presupposti biblici che la rendono necessaria, fra i quali: (1) la natura del peccato; (2) la natura della redenzione e (3) il quadro generale della predestinazione. I dati della Bibbia (i singoli versetti) non vanno, infatti, presi fuori dall'intero contesto teologico in cui sono inseriti. Leggerli fuori dal loro contesto porta ad errori ed abbagli non indifferenti. La teologia riformata, organizzando sistematicamente tutti i dati della Bibbia, dimostra come il pensiero biblico (la Rivelazione) sia una struttura unitaria e coerente, un pensiero ben definito.

Tutte le creature umane sono in condizione di peccato, quindi colpevoli di fronte a Dio e passibili della condanna prevista per la ribellione all'autorità di Dio e la trasgressione alle Sue leggi, cioè la morte e le sofferenze dell'eterna separazione da Dio. La giustizia di Dio implica che questa condanna sia eseguita in modo certo e determinato. Dio, però, manifesta la Sua misericordia [Dio, infatti, non solo è giusto, ma anche amorevole] concedendo la grazia, secondo il Suo insindacabile e sovrano giudizio, ad un determinato numero di creature umane. Per rendere possibile (rispettando i criteri della Sua giustizia) la salvezza di coloro a cui accorda la Sua grazia, Dio si fa Egli stesso carico, in Cristo, di espiare la condanna che essi meritano. Questa condanna viene dunque trasferita a Cristo ed essi ne sono liberati.

Cristo può pagare per tutti loro e quindi salvarli eternamente, perché Egli è, al tempo stesso, sia Dio (e quindi in grado di sopportarne il peso) che un essere umano (nessun altro che un essere umano potrebbe pagare per le colpe umane), per altro privo di peccato (innocente, privo di colpe). Cristo, quindi sulla croce, paga Egli stesso, nella Sua Persona, il prezzo della salvezza di coloro ai quali Dio ha deciso di accordare grazia.

Se salvasse "tutti", Dio non sarebbe giusto (equivarrebbe a disattendere, relativizzare ed ignorare ciò che la Sua giustizia esige) e pure dimostra il Suo amore accordando la grazia (immeritata) della salvezza a un numero scelto di persone che, incapaci da sé di meritarsi alcunché e andare umilmente a Lui, rigenera spiritualmente mettendole in grado di ravvedersi e di riporre la loro fede in Cristo. Egli, così, accredita loro ciò che Egli ha conseguito nella Sua morte espiatrice.

La redenzione è dunque "definita" perché assicura con certezza la salvezza di coloro per i quali Cristo è morto ("il suo popolo"), come pure è da considerarsi "limitata" perché essa opera la salvezza degli eletti soltanto. Con questo non si intende dire che limitata ne sia l'efficacia, la potenza, dell'opera di Cristo, perché non c'è peccato tanto grande che il sacrificio di Cristo non possa espiare!

Questa dottrina ispira conforto e sicurezza ai credenti ed è destinata a rafforzare la loro fede, tanto che possono dire, con l'apostolo Paolo, "Cristo è morto per me" ["Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato sé stesso per me" (Galati 2:20)].

Questa dottrina biblica non impedisce che si possa (anzi si debba) liberamente e sinceramente offrire la salvezza in Cristo attraverso la predicazione generalizzata dell'Evangelo, dato che nessuno può sapere chi di fatto sia eletto e chi no. Ci rallegriamo, infatti, quando qualcuno giunge sinceramente al ravvedimento ed alla fede in Cristo, riconoscendo in lui/lei uno degli eletti e considerando sé stessi come gli strumenti che Dio usa per portare a Cristo ed alla chiesa coloro che Dio ha predestinato.

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