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mercoledì 20 aprile 2016

La Giustificazione: al cuore stesso dell’Evangelo

La questione della Giustificazione, che sta al cuore stesso dell’Evangelo biblico, e com’è stata storicamente riscoperta e riproposta con forza dalla Riforma protestante, è largamente estranea alla mentalità moderna. Fra l’altro, in italiano, il termine “giustificazione” significa altra cosa e per questo spesso la si equivoca[1].
La Giustificazione ha a che fare con la questione: In che modo potrei essere considerato giusto ed accettato da Dio? Ammesso che credano a Dio, la maggior parte dei moderni, infatti, crede che Dio sia in ogni caso buono e misericordioso e che non vi sia problema ad essere accolti da Lui perché Egli ci guarderebbe con favore quando “facciamo del nostro meglio” e, in ogni caso, ci perdonerebbe sempre, integrando eventualmente egli stesso quel che non siamo in grado di fare. Chiese compiacenti e corrotte, poi, appoggiano e promuovono queste stesse idee distorcendo così l’Evangelo biblico e riducendolo al popolare messaggio “buonista” delle opere sociali, dove “l’accoglienza” incondizionata è detta riflettere il Dio di Gesù Cristo. Queste idee sono completamente fuori strada e, per così dire, “vaccinano” la popolazione rendendola impervia al messaggio del Nuovo Testamento che, di fatto, afferma ben altro.
Per Dio, il Dio vero e vivente che ci parla attraverso la rivelazione biblica, nessuno di noi è “accettabile”. Tutti noi siamo solo dei peccatori ribelli a Dio, alla sua sovranità ed ordinamento, che meritano la giusta condanna che la Sua legge prevede, il massimo della pena che la sua lesa maestà esige. Non siamo giusti rispetto ai suoi insindacabili criteri di giustizia, e tanto il peccato ci ha corrotti e disabilitati che nemmeno se lo volessimo potremmo anche solo minimamente conformarvisi.
La nostra condizione esistenziale è dunque disperata. Si comprende così quella domanda che oggi risulta priva di senso: “Che devo fare per essere salvato?[2], salvato dalla giusta ira di Dio che pende sul mio capo a causa dei miei peccati e che pregiudica la mia vita temporale ed eterna. “Che cosa debbo fare per poter essere giusto davanti a Dio, per conseguire quella giustizia che mi è necessaria?”. Al che la risposta dell’Evangelo, quello autentico, è davvero una buona notizia per i disperati: “Credi nel Signore Gesù Cristo e sarai salvato tu e la tua famiglia”. Vale a dire: affidati alla persona ed all’opera di Gesù di Nazareth, perché egli è il Cristo, colui che Dio ha mandato affinché pagasse egli stesso, al tuo posto, la pena che tu dovresti espiare, e che ha conseguito quella giustizia che tu avresti dovuto avere e che non puoi conseguire. Egli è colui che può farti dichiarare giusto di fronte a Dio (accreditandoti la giustizia di Cristo) ed iniziare così il processo della tua santificazione. Egli è colui che opera la tua giustificazione (quella che non sei in grado di conseguire) e quindi la tua salvezza ora e per l’eternità.

Ecco dunque il concetto biblico di Giustificazione, che possiamo precisare ulteriormente come segue.
(1) La maggior parte dei cristiani protestanti, quando si solleva l’argomento della Giustificazione, pensano al Riformatore Martin Lutero. Egli riteneva, da pio monaco agostiniano qual era, imbevuto di teologia scolastica, che se il peccatore avesse preso l’iniziativa invocando umilmente Dio e facendo ciò che è in suo potere di fare[3], Dio gli avrebbe risposto con la grazia della Giustificazione. Questa dottrina, però, portava a Lutero ben poco conforto, perché egli non trovava in sé la capacità di soddisfare a queste “condizioni del patto”, da cui la sua disperazione. Egli concepiva “la giustizia di Dio come un attributo divino imparziale secondo il quale o Dio perdonava o condannava l’individuo sulla base della sua risposta ai termini del patto. La giustizia di Dio, quindi, per lui non poteva essere Evangelo (cioè buona notizia) ma una costante minaccia. La trasformazione della teologia di Lutero era sorta con il riconoscimento che la “giustizia” di Dio, secondo le Sacre Scritture, è, di fatto, in funzione di quello che Dio, nella Sua grazia, provvede in Cristo, e che noi non siamo in grado, così come siamo, di produrre, neanche solo in parte.
(2) Lutero metteva in evidenza come il concetto di Giustificazione possa essere meglio visto nella frase “simul justus et peccator”, vale a dire: simultaneamente giusto e peccatore. Oppure ancora: il cristiano è intrinsecamente (cioè esperienzialmente) peccatore, ma intrinsecamente (vale a dire legalmente) giusto. Nella Giustificazione il peccatore è passivo (l'uomo è incapace di fare inizio al processo che conduce alla Giustificazione) e Dio è attivo. Dio, nella sua grazia ci attribuisce una giustizia che non è nostra e noi, con fede e gratitudine, la riceviamo (una fede, naturalmente, che essa stessa è il dono della grazia di Dio tanto quanto lo sia la giustizia che tramite essa ci è attribuita).

(3) La Giustificazione significa che veniamo dichiarati giusti, non resi, fatti, giusti. È un cambiamento nella nostra condizione, non nella nostra natura. Questo non vuol dire che la nostra Giustificazione non sia in rapporto con la santificazione progressiva mediante la quale, gradualmente, per grazia, diamo trasformati interiormente ad immagine di Gesù Cristo stesso. Esse sono due realtà distinte, manon separabili. Coloro che vengono veramente giustificati saranno santificati. Questa distinzione radicale e fondamentale fra giustificazione come condizione ottenuta con fede iniziale e la susseguente santificazione o trasformazione della propria natura attraverso la Grazia è una profonda introspezione della Riforma protestante ed un ritorno alla dottrina biblica stessa.

(4) La Giustificazione ha un carattere oggettivo, non soggettivo. Questo vuol dire che si tratta di qualcosa fatto per noi, non in noi. Per dirla in altro modo, la Giustificazione è forense (una dichiarazione che avviene nel tribunale di Dio, non esperienziale (qualcosa che avviene in noi). Si tratta, cioè di un atto legale nom di un sentimento emotivo. Per questo noi non “sentiamo” dentro di noi la giustificazione quando avviene, ma quando comprendiamo ciò che Dio ha compiuto in noi può sorgere molta euforia nell’anima e nello spirito.
La Giustificazione, quindi, è estrinseca (non intrinseca); aliena rispetto a noi (non inerente in noi); oggettiva (o per noi), non soggettiva (o in noi); puntiliare (avviene ad un certo punto del tempo, nei decreti eterni di Dio che si sono realizzati storicamente nel sacrificio di Cristo che muore in croce, e non progressiva; forense, non esperienziale, dichiarativa (non trasformativa); implica l’imputazione (l’accreditamento) a noi della giustizia (non l’impartimento in noi della giustizia); scaturisce (ma non si identifica) nella santificazione; e riguarda la nostra condizione (non il nostro essere) dato che veniamo considerati giusti (non resi giusti).
(5) La giustificazione è sia proscioglimento che accoglimento. Questo significa che implica sia il perdono dei peccati che il ricevere la giustizia di Cristo. Dio non solo ci dichiara “non colpevoli”; egli pure ci dichiara “giusti”. Un semplice perdono ci lascerebbe spiritualmente nudi, con nessuna giustizia. Il perdono potrebbe salvarci dall'inferno, ma non ci porterebbe in paradiso.
(6) La Giustificazione è sia esclusiva che estensiva. Per esclusiva si intende che non vi è una via di mezzo: o siete o non siete giustificati. Non è qualcosa che si ottenga per gradi ma è una condizione che si riceve per decreto divino. Per estensiva si intende che riguarda tutti i peccati, passati, presenti e futuri.
(7) La Giustificazione è sia istantanea che irreversibile. È una condizione o stato a cui il credente viene elevato. Non è un processo. Inoltre, è irreversibile. Non può essere perduta. L’editto di Dio non è cosa rispetto al quale sia possibile fare appello ad una corte superiore (cfr. Romani 8:31-34).
(8) La giustificazione, essendo concessa dalla sovrana grazia di Dio, la si riceve per fede (cfr. Romani 3:24; 2 Tessalonicesi 3:8; Giovanni 15:25). È così che il peccatore viene giustificato per fidem propter Christum (per fede a causa di Cristo) e non propter fidem per Christum (a causa della fede per Cristo, come spesso viene contestato). Noi non veniamo giustificati perché crediamo. La fede non è un’opera umana che in qualche modo meriti la giustificazione. Veniamo giustificati a causa di Cristo, la cui giustizia riceviamo passivamente, per fede.
(9) La giustificazione è per sola fede, ma la fede che giustifica non viene mai da sola. In altre parole, la persona che è giustificata verrà santificata. Sola fides iustificat, sed non fides quae est sola (la sola fede giustifica, ma non la fede che è sola). Benché non siano le opere a giustificarci, non veniamo giustificati senza le opere, perché nella fede che giustifica è presente il seme di quella santificazione della vita senza la quale nessuno vedrà Dio.
(10) La giustificazione per sola fede è fondata nella nostra unione con Cristo. Ciò che riceviamo da Dio per grazia è il “dimorare in Cristo” stesso, nella cui vita di risurrezione veniamo incorporati. La giustificazione è la dichiarazione di Dio che noi siamo considerati gisti ai suoi occhi, ma questa dichiarazione è fatta sulla base della presenza in noi del Cristo vivente.

[1] L’accezione teologica di questo termine com’è data dai vocabolari italiani correnti riflette non la concezione biblica, ma quella del Cattolicesimo romano. Cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/giustificazione/ 
[2] Atti 16:30.
[3] O “facendo quello che hanno in sé”. Questo concetto che sorge dallo Scolasticismo tomista: coloro che non hanno mai udito la predicazione dell’Evangelo non galleggerebbero semplicemente in un vuoto teologico. La grazia di Dio sarebbe già presente ed attiva in modo tale che se essi fanno ciò che giace in loro (facientis quod in se est), quel che è in loro potere di fare, Dio provvederà loro l’aiuto necessario per giungere al perdono dei peccati (vedi qui). È il “fare del nostro meglio”, chiamato anche synderesis, una libera volontà che sorge da principi morali innati ed indistruttibili, quelli che permettono “una vita virtuosa” (vedi qui). “Facere quod in se est”: quando gli individui si conformano a questa precondiizione, Dio sarebbe obbligato, secondo i termini del patto ad accettarli. Si usava spesso una massima latina per esprimere questo punto: “Facienti quod in se est, Deus non denegat gratiam” (Dio non nega la grazia a coloro che fanno ciò che sta in loro potere di fare). Il teologo medioevale Gabriel Biel spiega che “fare del nostro meglio” significa rigettare il male cercando di fare il bene (Da Alister McGrath, vedi qui). Vedi qui anche il concetto di sinderesi.

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