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venerdì 24 maggio 2019

"Compromesso" è una "parola sporca"?

Qualche riflessione provvisoria

Nel breve discorso di dimissioni da primo ministro del Regno Unito, Theresa May citando Sir Nicholas Winton, dice: "Non dimenticate che il compromesso non è una parola sporca. La vita dipende dal compromesso" [1]. La May indica nel termine "compromesso" lo stile del suo governo e, in particolare delle trattative fra Gran Bretagna e Unione Europea.

Il compromesso è o non è una "parola sporca"'? Effettivamente, il termine compromesso non gode di buona fama. Fa pensare ad accordi sotto banco, alla rinuncia ai propri ideali per miseri tornaconti personali, alla contrattazione fra interessi contrapposti da salvaguardare il più possibile, al relativismo nei principi morali che si ritiene si possano accantonare quando conviene. Lo si contrappone, però all'intransigenza (che si ritiene negativa) e si afferma: "Venire a patti è un esercizio nobile e necessario, come insegnano i maestri del pensiero dialettico" [3].

Che cos'è il "compromesso"? Un vocabolario della lingua italiana [2] lo definisce come (1) un accordo raggiunto attraverso reciproche concessioni; ad esempio: venire a un compromesso, raggiungere un compromesso, fare un compromesso. (2) L'unione di elementi diversi o contrastanti, ad es. un compromesso tra il vecchio e il nuovo. (3) L'accomodamento fra opposte esigenze di parti in contrasto che comporta rinunce d'ambo le parti; ad esempio: scendere a compromessi, venire a compromessi con la propria coscienza.

Giudicare il valore del compromesso, dipende in larga parte, però, dal contesto in cui si usa questo concetto. L'interruzione volontaria di gravidanza è ammissibile? Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è sbagliato? L'uguaglianza economica è più importante della libertà? E giusto utilizzare animali per fini scientifici e di ricerca? La prostituzione dovrebbe essere legale? La pena di morte è giusta? Esiste un diritto alla proprietà intellettuale? La libertà di espressione dovrebbe essere limitata? Non è certo un mistero che le società democratiche siano caratterizzate da disaccordi profondi e persistenti, capaci di fomentare divisioni e conflitti. E più complesso, invece, capire come tali disaccordi, che vertono su questioni che richiedono una decisione collettiva, debbano essere trattati a livello pubblico. Nel dibattito filosofico contemporaneo, le teorie della ragione pubblica e del modus vivendi tentano di risolvere il problema rinunciando alla ricerca della verità oggettiva, sostenendo che il disaccordo in politica possa essere superato, e così perdere la sua carica conflittuale, solo se viene tralasciata la ricerca di chi ha ragione.

Il sito di psicologia applicata Albanesi [4], fa le seguenti riflessioni:

Il compromesso è la strategia preferita da tutti coloro che vogliono evitare conflitti. Se, per esempio, in campo politico (...) è spesso dolorosamente necessario per arrivare a proposte concrete e realizzabili, in campo esistenziale è spesso una sconfitta. Infatti, dal punto di vista esistenziale il compromesso è utilizzato da chi non è in grado di usare la forza necessaria per realizzare il proprio obiettivo. In sostanza, si cede in buona parte per avere almeno qualcosa in cambio, evitando uno scontro.

Dal punto di vista esistenziale il compromesso deve ritenersi sempre negativo; è dunque essenziale distinguerlo da tutte quelle strategie che raggiungono parzialmente l’obiettivo desiderato. Il fattore distintivo è proprio lo scarso risultato ottenuto a causa di una posizione troppo arrendevole. In altri termini, se fosse possibile ottenere di più cambiando scenario (l’atteggiamento del soggetto, l’oggetto o l’ambiente cui ci si rivolge ecc.), siamo in presenza di un compromesso negativo. “Il matrimonio si basa sul compromesso” è la classica frase di chi non è riuscito a trovare un partner che gli consenta di esprimere tutta la sua personalità; è anche un tragico compromesso quello di chi subisce molestie sul luogo di lavoro (sessuali, fisiche, psichiche ecc.) e non si ribella per non perdere il proprio impiego (basta avere una buona autostima e cambiare il posto di lavoro, anziché temere che, perdendo quello attuale, si morirebbe di fame).

Il compromesso è la strategia per eccellenza dei deboli, ma può essere occasionalmente usato anche da svogliati, sopravviventi (vedasi l’esempio del matrimonio), indecisi, insufficienti.

Il compromesso esistenziale. È opportuno definire cosa si intenda per compromesso esistenziale, ben diverso da quello del mondo politico o del mondo degli affari. Quando un politico attua correttamente un compromesso lo fa sul risultato, non sui valori: non sostiene una legge che va contro i propri valori, ma può sostenerne una che comunque si muove nella direzione dei propri valori anche se non li implementa ancora del tutto.

Il compromesso esistenziale è invece l’accettazione di uno stato emotivo decisamente inferiore a quello possibile con altra scelta. In termini più semplici, accettare “in quel momento” una realtà che potrebbe, con altra scelta, essere migliore. Se, per quieto vivere, accetto di portare la suocera a fare la spesa rinunciando a un evento cui tenevo moltissimo, ecco un caso di compromesso esistenziale. Non si può parlare invece di compromesso quando, fra due eventi contemporanei cui tengo molto, ne scelgo uno: in questo caso ho comunque massimizzato il mio stato emotivo (non potendo essere ovviamente in due posti diversi). Molte persone sono fortemente penalizzate dal proprio lavoro che, magari importante e gratificante, li obbliga comunque a molte rinunce. Spesso non si rendono conto che i loro compromessi dipendono dal vincolo del lavoro, vincolo che loro reputano (consciamente o no) inamovibile, mentre invece dovrebbe far parte di una visione più generale della vita e come tale essere messo in discussione.

Note

[1] "Never forget that compromise is not a dirty word. Life depends on compromise" nel suo discorso.
[2] De Mauro - Paravia.
[3] http://lettura.corriere.it/debates/elogio-del-compromesso/

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