Pagine

lunedì 24 giugno 2019

Siamo chiamati ad avere la fede di Abraamo (13. Galati 3:6-14)




Il termine "religione" per noi cristiani significa legame, rapporto personale di fiducia ed ubbidienza con Dio attraverso Gesù Cristo. Questo termine, però, viene ad essere corrotto quando è inteso non come legame personale con Dio, ma come adesione ad un'organizzazione religiosa, alla sua tradizione, a riti, a leggi ecc. Il testo biblico di oggi ci chiama ad avere la fede di Abraamo, che precede istituzioni, tradizioni, rituali e leggi.
"Così Abrahamo «credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia»; sappiate pure che coloro che sono dalla fede sono figli di Abrahamo. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato le nazioni mediante la fede, diede prima ad Abrahamo una buona notizia: «Tutte le nazioni saranno benedette in te». Perciò coloro che si fondano sulla fede sono benedetti col fedele Abrahamo. Ora tutti coloro che si fondano sulle opere della legge sono sotto la maledizione, perché sta scritto: «Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle». Poiché è manifesto che nessuno è giustificato mediante la legge davanti a Dio, perché: «Il giusto vivrà per la fede». Ora la legge non proviene dalla fede, ma «l'uomo che farà queste cose vivrà per mezzo di esse». Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi (poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno»), affinché la benedizione di Abrahamo pervenisse ai gentili in Cristo Gesù, perché noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede" (Galati 3:6-14).
Le argomentazioni dei legalisti, che tanto sembrano condizionare le comunità cristiane della Galazia, non costituiscono solo una perversione dell'Evangelo, ma derivano da una comprensione errata o inadeguata delle basi stesse della fede di Israele. Paolo può affermarlo con competenza perché egli non solo può vantare di essere apostolo di Cristo a pieno diritto, ma perché egli può essere indiscutibilmente considerato esperto interprete e maestro di ebraismo, essendo stato educato nelle migliori scuole teologiche del tempo. "Io sono un giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ... educato ai piedi di Gamaliele nella rigida osservanza della legge dei padri; sono stato zelante per la causa di Dio, come voi tutti siete oggi" (Atti 22:3).

Paolo, così, esamina con competenza ed autorità la vicenda del "padre" stesso della fede di Israele, Abraamo, la figura di israelita per eccellenza nella quale ogni autentico israelita trova suo modello e rispetto al quale può legittimamente definirsi "figlio d'Abraamo". Chi può definirsi così "figlio di Abraamo"? Coloro che ricalcano la sua fede, che lo seguono come proprio modello. In che modo Abraamo ha conseguito la condizione di "giusto davanti a Dio"? Non con il metodo e lo spirito dei legalisti che turbano e confondono i cristiani della Galazia, cioè tramite l'osservanza rigorosa della legge morale e cerimoniale di Mosè (che al tempo di Abraamo nemmeno era stata formulata come tale) ma tramite la fede, cioè accordando a Dio piena ed incondizionata fiducia. La religione rivelata, infatti, non consiste tanto nel rapportarsi ad una legge, a dei regolamenti, a dei libri, ma prima di tutto in un rapporto intimo e personale con il Dio vero e vivente impostato sulla fiducia.

Lo stesso vale per tutti coloro che, a qualunque nazione appartengano, si pongono nella prospettiva di Abraamo: quando il Dio vero e vivente si rivela loro e li chiama, essi Gli rispondono accordandogli piena ed incondizionata fiducia. E' questo il modo in cui essi Gli possono essere graditi: se c'è questa loro fiducia di fondo in Lui, l'ubbidienza alla Sua volontà rivelata ne conseguirà come naturale e libero frutto della fede.

La promessa che Dio fa ad Abraamo, allora, è davvero una buona notizia: "Da te sorgerà un popolo di credenti che sarà di benedizione per tutto il mondo". Gente in armonia con Dio, infatti, non potrà che riflettere dovunque il carattere di Dio stesso praticando e diffondendo amore e giustizia, beneficando chiunque, come faceva Gesù stesso che, "...unto di Spirito Santo e di potenza ... com'egli è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui" (Atti 10:38). Lo spirito di Gesù, infatti, era ben diverso da quello dei Farisei, rigoristi della religione, che addirittura accusavano Gesù, il Figlio di Dio, di non conformarsi come loro pensavano fosse necessario, alla legge di Dio! Gesù onorava la legge di Dio conformandosi al suo spirito e non tanto alla lettera, tenendo conto delle persone e delle circostanze in rapporto dinamico con Dio Padre.

La legge di Dio è allora superflua? Non è forse Dio che l'ha rivelata? Certo, "Noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne fa un uso legittimo" (1 Timoteo 1:8). Bisogna, infatti chiedersi quale sia la funzione che essa assolve nella situazione specifica in cui ci troviamo.

La legge diventa una vera e propria maledizione se si vive solo in funzione di essa, perché essa esige perfetta (e per noi impossibile) conformità. Nemmeno, infatti, la più rigorosa conformità alla legge di Dio sarebbe sufficiente per renderci giusti davanti a Dio, ci ritroveremmo sempre manchevoli di qualcosa, perennemente frustrati e quindi inevitabilmente condannati. La nostra natura, infatti, è radicalmente contaminata dal peccato e non riusciremmo nemmeno a viverla nello spirito giusto, quello di chi è in comunione fiduciosa ed amorevole con Dio.

Il legalista, perennemente frustrato o apparentemente (e quindi ipocritamente) conforme alla legge, in fondo odia Dio e diventa lui stesso per gli altri un fardello insopportabile. Solo Gesù ci libera dalla maledizione della legge, perché prima Egli prende su di Sé la condanna che noi meritiamo come trasgressori e la espia, poi ci dona il Suo Spirito affinché, riconciliati con Dio grazie a Lui, viviamo il rapporto con Dio e quindi con la legge, come Lui faceva. Non è quindi l'osservanza della legge di Dio che ci rende giusti davanti a Dio, ma la fede in Dio il quale, in Gesù ci fa uscire dalla situazione di ineluttabile condanna in cui ci troviamo.

Siamo chiamati ad essere "figli di Abraamo" perché la sua fede è in primo luogo rapporto personale e consapevole con Dio, e questo precede ogni altra espressione della religione. Non è "fede nella chiesa" o "della chiesa" anche se normalmente ci inserisce in una comunità di credenti. Non è fede in riti e cerimonie e sacramenti, anche se può esprimersi in riti, cerimonie e partecipazione a sacramenti. Non è necessariamente adesione ad una tradizione perché la tradizione potrebbe portarci fuori strada. Tutto questo è secondario e relativo: quello che conta è il nostro personale rapporto con Dio così come il Signore e Salvatore Gesù Cristo ce lo rivela.

Come vivi tu la religione? Come un rapporto con leggi, regolamenti, rituali ed istituzioni, oppure come un rapporto vivo d'amore, fiducia e ubbidienza a Dio?

Preghiera

Signore Iddio, Ti sono grato perché il mio Signore e Salvatore Gesù Cristo, benché non ne fossi degno, mi ha riconciliato con Te tramite la Sua opera permettendomi, così, di vivere l'amore e la giustizia prescritti dalla Tua Legge nello spirito giusto, in fiduciosa comunione con Te. Che la mia vita sia così testimonianza di chi vive in comunione con Te per beneficare il mondo. Amen.

Domenica 30 giugno 2019 - Terza Domenica dopo Pentecoste
Testi biblici: 2 Re 2:1-14; Salmi 77:1-20; Galati 5:1,13-25; Luca 9:51-62

Preghiera: Onnipotente Dio, hai edificato la tua Chiesa sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendone Gesù Cristo stesso la pietra angolare: Concedici di essere tanto uniti nell'unità dello spirito con il loro insegnamento, da essere noi stessi resi un santo tempio a te accettevole; per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

Nessun commento:

Posta un commento