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giovedì 5 maggio 2011

Alla prova dei fatti


Studio n. 47 sulla seconda lettera dell'apostolo Paolo ai cristiani di Corinto. Il testo esaminato è ora quello di 12:19-13:4.


"19 Da tempo voi v'immaginate che noi ci difendiamo davanti a voi. È davanti a Dio, in Cristo, che parliamo; e tutto questo, carissimi, per la vostra edificazione. 20 Infatti temo, quando verrò, di non trovarvi quali vorrei, e di essere io stesso da voi trovato quale non mi vorreste; temo che vi siano tra di voi contese, gelosie, ire, rivalità, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini; 21 e che al mio arrivo il mio Dio abbia di nuovo a umiliarmi davanti a voi, e io debba piangere per molti di quelli che hanno peccato precedentemente, e non si sono ravveduti dell'impurità, della fornicazione e della dissolutezza a cui si erano dati. 13:1 Questa è la terza volta che vengo da voi. Ogni parola sarà confermata dalla bocca di due o tre testimoni. 2 Ho avvertito quand'ero presente tra di voi la seconda volta e avverto ora, che sono assente, tanto quelli che hanno peccato precedentemente, quanto tutti gli altri, che, se tornerò da voi, non userò indulgenza, 3 dal momento che cercate una prova che Cristo parla in me, lui che non è debole verso di voi, ma è potente in mezzo a voi.4 Infatti egli fu crocifisso per la sua debolezza; ma vive per la potenza di Dio; anche noi siamo deboli in lui, ma vivremo con lui mediante la potenza di Dio, per procedere nei vostri confronti" (2 Corinzi 12:19-13:4).

La presenza di una chiesa autentica non è segnalata necessariamente dallo splendore dei suoi edifici, dal numero di quelli che la frequentano, dall'ammontare delle sue entrate o dalla solennità delle sue liturgie. La si vede soprattutto dalla realtà di vite trasformate dall'Evangelo che essa proclama. Se non vi sono vite realmente "convertite" a Cristo, essa non è realmente una chiesa ma qualcos'altro che il Signore alla fine disconoscerà. È così che Paolo, in questa sezione finale della sua lettera, rivolgendosi ai cristiani di Corinto, chiede loro di esaminare accuratamente se essi davvero siano una chiesa "come Dio vuole": "Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Cristo è in voi? A meno che l'esito della prova sia negativo" (13:5). Non si tratta di semplice retorica: c'era davvero la possibilità che l'esito della prova fosse davvero negativo, se la lista di vizi citata nei vss. 20,21 si fosse dimostrata vera.

Prima, però, di chiamare i Corinzi alla resa dei conti, bisognava chiarire che "sotto processo" non era l'Apostolo: "Da tempo voi v'immaginate che noi ci difendiamo davanti a voi" (19). Fin ora egli si era certo difeso dalle accuse che gli erano state rivolte, ma l'aveva fatto "davanti a Dio, in Cristo" (nel cui nome parlava) non davanti a loro! I Corinzi, e tanto meno i falsi apostoli che si erano insinuati fra di loro, non avevano titolo ad atteggiarsi a giudici che, fra l'altro, stabilivano essi stessi i criteri di giudizio. Molti oggi fanno lo stesso: prima stabiliscono i criteri di giudizio che più loro convengono (rispetto ai quali ovviamente essi risultano "a posto") e poi, su quella base, giudicano gli altri! A questo gioco Paolo ci sta solo fino ad un certo punto e poi reagisce delegittimando tale "corte": solo Dio, infatti, può essere Giudice. È l'opinione di Dio che a Paolo interessa, non alla loro. Solo di Dio sono i criteri rispetto ai quali tutti devono misurarsi: quelli incarnati in Cristo e scritti nella Sua Parola.

Paolo, inoltre, come rappresentante autentico di Dio, agiva, anche quando applicava sanzioni disciplinari, per fini costruttivi, per edificare la comunità, non per distruggerla. Quei falsi apostoli, tendevano solo a "edificare" sé stessi ed il loro potere, come pure a distruggere tutto ciò che invece si frapponeva alle loro mire. Pur di far crescere la comunità, Paolo era disposto anche a rinunciare ai suoi diritti ed a mettersi in secondo piano, ma l'avrebbero fatto gli altri? Inoltre, anche quando Paolo corregge in modo molto forte i corinzi (e certo non godeva a farlo), questo sicuramente sarebbe stato per loro doloroso, ma, come si applica la disciplina ai bambini, sarebbe servito per farli maturare. Tutto quel che l'Apostolo faceva per le comunità cristiane era per farle crescere spiritualmente, conformarle allo standard di chiesa che la Parola di Dio stabilisce.

Paolo, così, annuncia il suo ritorno a Corinto. Che cosa vi avrebbe trovato? Teme il peggio! Lo scenario è allucinante: contese, gelosie, ire, rivalità, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini, impurità, fornicazione e dissolutezza (20, 21). I primi quattro vizi si trovano nello stesso ordine di Galati 5:20. "Contese" indica rivaleggiare per avere un posto di potere (cfr. Marco 9:33-34). "Gelosia" dovrebbe logicamente precedere "contese" dato che spesso è ciò che dà loro origine. "Ire" indica un atteggiamento costantemente polemico ed aggressivo. "Rivalità" è connesso allo spirito di chi parteggia per un particolare leader cristiano contro altri.  "Maldicenze" è mettere in giro voci diffamatorie su altri cristiani.  "Superbie" indica chi si gonfia del senso della propria importanza. "Disordini" indica il disturbo arrecato alla comunità di chi polemizza, stuzzica e provoca. L'apostolo Giacomo similmente rileva: "dove c'è invidia e contesa, c'è disordine e ogni cattiva azione"(Giacomo 3:16).

Se i peggiori timori si realizzassero, Paolo, normalmente mite, non avrebbe esercitato indulgenza, ma forza e severità, soprattutto se persistesse ciò che a Corinto già si era manifestato nel passato, cioè "impurità, fornicazione e dissolutezza". "Impurità" è un termine generale che indica qualsiasi cosa che rendesse una persona inadatta ad entrare alla presenza di Dio. "Fornicazione", però, (in greco porneia) si riferisce più specificatamente ad abusi di tipo sessuale (adulteri, ma anche prostituzione ed omosessualità), "Dissolutezza" indica scriteriata offesa della pubblica decenza.

Tutto questo quadro stupefacente di disordini morali ci mette in guardia dall'idealizzazione fuori luogo della chiesa antica e ci rende realistici ed attenti a non sottovalutare il potere corruttore del peccato potenzialmente presente anche nell'ambito delle chiese, da cui la necessità di vigilare e di applicare la necessaria disciplina per reprimere ogni abuso che possa squalificare l'azione della chiesa cristiana. Difatti, a Corinto, Paolo teme di dover "piangere per molti di quelli che hanno peccato precedentemente" e non si sono ravveduti.

Il dover ritornare ed assistere ad una simile situazione sarebbe stato estremamente penoso per l'Apostolo. Sicuramente qualcuno fra noi avrebbe abbandonato la chiesa di Corinto al suo destino come qualcosa di irrecuperabile. Per Paolo sarebbe stato umiliante dover confessare il fallimento della sua opera a Corinto così come un genitore che veda i suoi figli andare nella direzione opposta a quella che aveva loro insegnato e non poterci fare niente.

Paolo si era vantato di loro in passato. Avrebbe ora dovuto rimangiarsi tutte le sue lodi? Si sarebbe sentito responsabile di un tale disastro morale? Avrebbe perduto la faccia confermando agli ebrei osservanti che i pagani sono gente inguaribilmente immorale? Sarebbe Paolo stato colto dalla depressione di fronte a tutto questo? I nuovi e falsi apostoli che si erano insinuati nella comunità avevano sicuramente contribuito a peggiorare le cose. I problemi di Corinto erano endemici. La reazione di Paolo, però, di fronte a tutto questo non è la rassegnazione e la rinuncia ad agire. Avrebbe agito con grande severità. Le testimonianze erano incontrovertibili.

Paolo aveva ammonito i Corinzi più volte. Ora non sarebbe stato più il momento della paziente tolleranza. Non sappiamo in che cosa sarebbero consistite le sanzioni disciplinari che avrebbe decretato per la comunità di Corinto, forse la pubblica sconfessione della comunità di Corinto e l'interruzione dei rapporti con le altre chiese cristiane? In ogni caso Paolo avrebbe agito senza ritardo ed essi avrebbero visto di quale autorità egli era investito come Apostolo di Cristo: non sarebbe apparso più "debole". Avrebbe "usato la frusta" contro coloro che rifiutavano di ravvedersi disdegnando l'autorità dell'Apostolo. La "debolezza" di Cristo, manifestata alla croce, si era trasformata nella potenza della risurrezione. Cristo non era rimasto e non rimarrà "debole". Della Sua "debolezza" un giorno nessuno potrà più profittarne. I rivali di Paolo, allo stesso modo, non si illudano che egli continuerà a rimanere remissivo. La stessa potenza che aveva fatto risorgere Cristo dai morti e che Lo sostiene nella vita in questo stesso momento, sarà quella che Paolo manifesterà a Corinto nella sua prossima visita.

PreghieraSignore, fa sì che io prenda molto seriamente la vocazione all'integrità morale e spirituale alla quale tu mi chiami sia come singolo che nell'ambito della comunità cristiana. Dammi il necessario spirito critico verso me stesso e il rispetto dei pastori che hai preposto alla mia vita cristiana. Che io accetti le loro correzioni e continui decisamente il cammino della costante riforma della mia vita insieme alla comunità cristiana nella quale mi hai posto. Nel nome di Cristo. Amen.

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