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martedì 22 novembre 2011

Salvezza da che cosa?

Quanto gran parte del cristianesimo contemporaneo sia lontano dalla fede annunciata e vissuta dal Nuovo Testamento è palese dalle seguenti riflessioni, che, proteggendosi dall'accoglierne messaggio, sicuramente saranno accolte da molti con le solite "discussioni critiche"...

Quando le Sacre Scritture parlano di salvezza, l’atto di Dio di salvare, esse presuppongono che le creature umane si trovino in una disperata condizione di perdizione a causa dei loro peccati, una condizione alla quale essi non sono da sé stessi in grado di porre rimedio.Ciò che Scritture chiamano peccato è causa di condanna o dannazione. Salvare chi non si trova in condizione di estremo pericolo, infatti, non avrebbe alcun senso.

Il termine “salvare”, che può essere pure reso con “redimere” o “liberare”, nelle Sacre Scritture è un termine molto forte che presuppone come la condizione umana sia caratterizzata da indicibile e spaventosa miseria.

La spaventosa condizione in cui le Scritture pongono il genere umano è attribuita a tre fattori, dai quali il Cristo è venuto per salvare: salvare dal peccato, salvare dalla maledizione di Dio su di noi e salvare dalle fiamme eterne dell’inferno. Il peccato, infatti, è descritto come qualcosa di abominevole, l’ira di Dio come qualcosa di insopportabile e l’abisso ed il tormento dell’inferno come da temere più di qualsiasi altra cosa. “Salvare” significa liberare una persona da tutto questo, insieme a quanto lo accompagna.

Non c’è uomo o donna che sappia che cosa vuol dire essere salvati che non abbia fatto una qualche esperienza del terrore che queste tre cose giustamente devono incutere. Tutti gli altri, infatti, dimostrando di non tenerle in considerazione, dileggiandole o persino negandone la realtà solo manifestano la loro tragica cecità al riguardo. La salvezza della propria anima dovrebbe essere, di fatto, l’interesse primario di una qualsiasi persona di buon senso. Gesù, infatti disse: “Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l’anima sua? O che darà l’uomo in cambio dell’anima sua?” (Matteo 16:26).

Se il termine “salvati”, infatti, indica la nostra liberazione dal peccato, come potrebbero dire che cosa significa essere salvati coloro che, nella loro coscienza, non hanno mai sentito grande afflizione per il pesante fardello dei loro peccati? E’ impossibile, infatti, che possano mai gridare con tutto il loro cuore: «Fratelli, che dobbiamo fare?» (Atti 2:37) per esserne finalmente sollevati. Chi non ha consapevolezza della propria malattia, di piaghe brucianti e lancinanti dolori, non potrà mai conoscere la virtù della medicina che le cura. Non darà valore alla cura chi non sa di essere malato. Sarebbe come applicare un medicamento su una parte sana del corpo: la sua virtù non sarebbe apparente. Voi, peccatori, che non sentite la bruciante ferita del senso di colpa, voi che non siete oppressi dal fardello del peccato, non potrete conoscere, nell’insensata vostra condizione, che cosa voglia dire essere salvati.

Il termine “salvati”, poi, indica la liberazione dall’ira di Dio. Come potrebbero dire di essere salvati coloro che non hanno mai sentito il fardello dell’ira di Dio su di loro a causa dei loro peccati? Coloro che hanno consapevolezza della realtà della giusta ira di Dio che incombe su di loro e per quella tremano, sono coloro che meglio di altri sanno che cosa voglia dire essere salvati, come il carceriere di Filippi, di cui parla il libro degli Atti, di cui è scritto: “ tutto tremante, si gettò ai piedi di Paolo e di Sila” (Atti 16:29).

Il termine “salvati” sii riferisce, infine, alla liberazione dalla morte e dall’inferno. Come potrebbero sapere che cosa significa essere salvati coloro che non sono sensibilmente afflitti dalla prima né angoscianti dalla prospettiva del secondo? Il salmista grida, invocando il nome del Signore: «SIGNORE, libera l’anima mia!»” dopo aver affermato: ”I legami della morte mi avevano circondato, i torrenti della distruzione mi avevano spaventato. I legami del soggiorno dei morti mi avevano attorniato, i lacci della morte m’avevano sorpreso” (Salmo 18:4-5); “I legami della morte mi avevano circondato, le angosce del soggiorno dei morti mi avevano colto; mi aveva raggiunto la disgrazia e il dolore” (Salmo 116:3-4). Quando, infatti, sa da che cosa voglia dire essere salvato, invoca il Signore e così sa che cosa vuol dire essere salvato.

Il discorso sulla salvezza, quindi, è rivolto a chi sa da che cosa il Cristo salva. Chi ha scarsa considerazione verso la salvezza dimostra, di fatto, quanto poco tema la dannazione. Dove sono coloro che anelano con tutto sé stessi di essere salvati e lo gridano al Signore? Dove sono coloro che corrono verso la salvezza a causa del terrore che hanno per l’ira a venire? Giovanni il battista diceva coloro che erano venuti per ascoltarlo: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura?” (Matteo 3:7). Ahimè, non è forse vero come molti prendano alla leggera la questione della loro salvezza? Guardate poi ai loro peccati, quanto li amano, quanto li abbracciano, quanto se ne compiacciono! Non sentono l’ira di Dio: come potrebbero cercare di sfuggirne? Per quanto riguarda, poi, l’inferno, ricorrono a ragionamenti di ogni tipo pur di metterlo in dubbio, mentre coloro che sono risoluti nel loro ateismo, ne fanno oggetto di ridicolo.

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