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mercoledì 14 gennaio 2015

Perché i cristiani non ubbidiscono ai comandi dell’Antico Testamento che impongono di uccidere gli omosessuali ed i figli disubbidienti?

I critici della Bibbia spesso citano i casi in cui nell’Antico Testamento si giustifica la schiavitù, si comanda di usare violenza contro gli omosessuali o di spazzare via intere nazioni, e questo come prova per discreditarla e dichiararla inadeguata al compito di insegnarci accettabili modelli di comportamento. Essi chiedono pure spesso il perché i cristiani moderni non seguano più oggi questi insegnamenti “barbarici”. Si lamentano dicendo che i cristiani sarebbero incoerenti e che, per quel motivo, non seguono veramente la Bibbia. Perché, ci chiedono, non siamo per mettere a morte gli omosessuali (Levitico 20:13) ed i figli disubbidienti (Deuteronomio 21:18-21)?

A parte il fatto che questi “critici” della Bibbia leggono solo quel che può diventare per loro un utile pretesto e che non hanno intenzione alcuna di meglio informarsi di biblistica, teologia e storia, la ragione è molto semplice. Come cristiani, interpretiamo l’Antico Testamento dalla prospettiva di Gesù Cristo, quella insegnata dal Nuovo Testamento. Onoriamo, rispettiamo e impariamo dall’Antico Testamento, che rimane per noi Parola di Dio tanto quanto lo era per Lui (così come Egli stesso affermava) ma lo leggiamo con i Suoi occhi. Quando Egli spiegava e interpretava l’istituzione veterotestamentaria del Sabato, per esempio, Egli affermava, parlando di Sé stesso: “Il Figlio dell’uomo è Signore del Sabato” (Luca 6:5), e questo per noi vale per l’intero Antico Testamento, sul quale Egli è Signore. Tipiche sono le Sue espressioni “Voi avete udito che fu detto agli antichi … ma io vi dico...” (Matteo 5:28) e questo non per contraddire la Legge morale veterotestamentaria, ma per insegnarci autorevolmente il significato più autentico che essa deve avere per noi. Di fatto, in quelle Sue espressioni, Gesù non “ammorbidisce” affatto la Legge antica né la rinnega, ma la rende ancora più esigente! In modo non equivoco, infatti, Egli dice: “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento” (Matteo 5:17).

Quando, per esempio, Gli portano una donna colta in adulterio per vedere se egli avesse approvato o meno la sua lapidazione (legittima secondo la legge veterotestamentaria), Gesù non dice che quella legge fosse sbagliata o “immorale” ma che di fatto, nessuno si trova nella condizione morale di applicarla: “... disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». … Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va' e non peccare più».” (Giovanni 8:7-10). Per Gesù quella condanna a morte era legittima, così come per Lui rimaneva peccato l’adulterio ma, con Lui prevale lo spirito del perdono, perdono che non vuol dire tolleranza o giustificazione del peccato, ma possibilità di redenzione, ricupero, guarigione. Egli apre per i trasgressori la via del ravvedimento e della conversione allo stile di vita buono e giusto comandato da Dio. Gesù proclama la Grazia che redime.

Non è solo questa la lezione da imparare dall’Antico Testamento: il carattere estremamente rigoroso della Legge morale di Dio è il mezzo che ci insegna chi è Dio, santo e giusto al massimo grado, come pure ci insegna la gravità del nostro peccato, la serietà della nostra condizione di peccatori, di ribelli al Suo ordinamento morale di cui dobbiamo prendere coscienza e dalla quale siamo chiamati a ravvederci. Come ribelli al Creatore e Signore dell’universo e trasgressori della Sua Legge santa e giusta, noi tutti meritiamo giustamente “il massimo della pena”, la nostra condanna senza riserve, nulla meno che la morte: “Il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23), di ogni peccato che tale sia considerato da Dio. Nel tempo stesso, però, in Cristo, noi apprendiamo che Dio non solo è Giustizia, ma che è pure Grazia, la grazia del ricupero del trasgressore che si ravvede dalla sua colpa e che si affida a Lui, alla Sua opera, per essere riabilitato, “ricuperato” di fronte a Dio.

Le condanne a morte comminate da Dio nelle Scritture sono sommamente giuste. Chi abusa del dono della sessualità andando oltre a quanto Dio ha stabilito, chi non rispetta l’ordine sociale (di cui l’ubbidienza all’autorità genitoriale è espressione) meriterebbe la morte, così come merita di essere sterminata la società che vive sfidando e contravvenendo ciò che Dio considera giusto e morale. Il raggio delle trasgressioni che meritano la morte del trasgressore di fatto tocca tutto ciò che Dio ha comandato com’è condensato nel Decalogo. L’esecuzione del giudizio di Dio sui trasgressori impenitenti (che spetta solo a Lui) è solo rimandata. Tali condanne a morte sono esemplificate nell’Antico Testamento. Infatti: “tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione, affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza” (Romani 15:4), speranza che con Gesù ed in Gesù si trasforma nella Grazia che porta al ravvedimento ed alla guarigione con la forza che pure Egli rende in Lui disponibile.

La condanna a morte comminata nell’Antico Testamento non ci scandalizza dunque affatto, ma ci porta a vedere la gravità del nostro peccato, la giustizia della nostra sentenza di morte ed ad invocare la grazia di Dio in Gesù Cristo, la quale ci porta al ravvedimento ed al fiducioso discepolato alla Sua scuola. Galati 3:24 dice che la Legge morale di Dio ci indirizza soprattutto al Salvatore Gesù Cristo: “Così la legge è stata come un precettore per condurci a Cristo, affinché noi fossimo giustificati per fede” (Galati 3:24). Lo fa mostrandoci quanto siamo contaminati dal peccato ed incapaci di conformarci perfettamente come dovremmo ai criteri di giustizia stabiliti da Dio e quindi ad affidarci a Lui come mezzo della nostra redenzione temporale ed eterna. Discreditare o squalificare la Legge morale di Dio relativizzando ciò che Egli considera peccato, non solo non ci rende più “civili” e “progrediti”, ma di fatto ci allontana dalla grazia di Dio in Gesù Cristo. È così che questi “critici”, per quanto ve ne siano che innalzano il loro “vangelo”, di fatto distolgono i peccatori dalla via della salvezza in Cristo dimostrandosi così loro gli omicidi, oltre ad essere menzogneri.

Per quanto poi riguarda quelle guerre descritte dall’Antico Testamento come legittime, nemmeno queste ci scandalizzano. Le guerre combattute dall’antica nazione di Israele erano, infatti, finalizzate a stabilirla e proteggerla come nazione ed a permetterle di svilupparsi come l’esemplare contesto storico e sociale dalla quale sarebbe nato il Signore e Salvatore Gesù Cristo. Israele, però, ha concluso in Cristo la sua funzione storica e, nell’ambito del Nuovo Testamento non troviamo più il benché minimo accenno a guerre o violenze necessarie (salvo la legittima difesa), né a “terre sante” da difendere: tutta la terra appartiene al Signore ed il popolo di Dio, il popolo di Cristo, è diffuso in ogni nazione. Nel Nuovo Testamento ci viene chiaramente comandato: “state in pace gli uni con gli altri” (Marco 9:50) e “vivete in pace con tutti gli uomini” (Romani 12:18), come pure: “Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione” (Romani 12:19).

Proclamare la grazia e la pace rifiutando ogni violenza, però, non significa che dobbiamo ora approvare e tollerare ciò che Dio considera peccato come l’omosessualità, l’adulterio, la menzogna, l’omicidio, il furto… Non dobbiamo partecipare ai peccati del mondo, ma starne alla larga e denunciarli come tali. Dobbiamo promuovere quel che è giusto davanti a Dio con l’esempio e la parola, accompagnando le persone conoscere il Salvatore Gesù Cristo, a ravvedersi dai loro peccati ed a riporre in Lui la loro fiducia in vista del perdono e della riabilitazione davanti a Dio. La condanna dell’immoralità, però, rimane, com’è chiaramente insegnato in 1 Corinzi 6:9-10 e Romani 1:26-28.

Il diritto e il dovere che abbiamo di giudicare (noi stessi e gli altri) ci proviene dalla Legge morale rivelata di Dio. Non ce la siamo inventata noi! Essa rimane universalmente in vigore. Che piaccia o non piaccia, della sua osservanza tutti dovranno risponderne a Dio (così come la stessa coscienza di ogni creatura umana ne rende testimonianza) e l’esecuzione della pena che essa commina verso i suoi trasgressori impenitenti sarà eseguita. Essa è però pure accompagnata dalla grazia della redenzione in Cristo che riceviamo con riconoscenza ed annunciamo. L’onere di giustificare criteri morali differenti si impone però a coloro che criticano e fanno obiezione agli statuti morali dell’Antico Testamento. Qual è il criterio morale di riferimento che il critico adduce affinché possa giudicare la morale dell’Antico Testamento? Tocca a loro dirci da dove prendono le loro regole di vita e perché sarebbero migliori di quelle stabilite da Dio nella Sua Parola e che come tali accogliamo. La nuova morale da loro proposta e che pretendono “civile” ed “evoluta” su che cosa si fonda, da dove proviene? Dalle considerazioni di qualche filosofo moderno? Dalla “evoluzione del pensiero”? Dal mutevole consenso sociale? Dalle apparenti conveniente del momento? I criteri morali dei liberali di fatto rendono di fatto ciechi sulle loro conseguenze a lungo termine. Naturalmente tutti hanno diritto alle proprie opinioni e a nessuno “deve piacere” ciò che la Bibbia insegna, ma che uno non gli piaccia non determina la sua bontà. Quei critici che così insistono a dire che le leggi dell’Antico Testamento fossero sbagliate o che convenientemente “reinterpretano” devono fornirci loro un criterio oggettivo (non le loro opinioni) rispetto al quale essi possano fare i giudizi morali che fanno.

Il nostro criterio è chiaro: è quanto Dio, Creatore e Signore dell’universo, ha stabilito nella Sua legge per le creature umane, esemplificato nella vicenda storica di Israele, il popolo che Egli ha eletto per servirlo e dal quale è sorto il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che le Scritture proclamano “Salvatore del mondo”.

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