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giovedì 30 luglio 2015

Leonardo e Il valore delle nostre opere


"Ho offeso Dio e l'umanità perché le mie opere non hanno raggiunto la qualità che avrebbero dovuto avere".

Queste sono le parole pronunciate da Leonardo da Vinci [1] (1452-1519) prima di morire, secondo il suo biografo Giorgio Vasari [2] (1511-1574). Sembrano parole del tutto paradossali, dette da un magnifico ed impareggiabile artista e inventore, che ci portano ad esclamare: “Se lo dice Leonardo, non c’è più speranza!”, o “...se è così siamo nei guai!”. Un altro ha esclamato: “Doveva essere stato un insopportabile perfezionista!”.

Non posso esprimere alcun giudizio sulla personalità di Leonardo né sulla sua fede cristiana che, sempre secondo i biografi, era sorta in lui molto tardi nella sua vita. Posso solo dire che quella sua affermazione, “non fa una grinza”, è assolutamente corretta dal punto di vista biblico e teologico, così come corrette sono le prime reazioni che ho riportato! Questo per due motivi: (1) i doni ed i talenti che Dio ha dato a ciascuno di noi non li investiamo abbastanza come dovremmo e potremmo, e quindi il discorso sulle responsabilità che abbiamo (verso Dio e l’umanità) proprio per averli ricevuti; (2) Il fatto che secondo gli altissimi criteri di giustizia e di santità rivelati da Dio nella Sua Parola, nessuno di noi, nemmeno la personalità più eccelsa di questo mondo, potrà mai, su quella base, essere accolto da Dio e salvato.

Ecco così che “non c’è più speranza” è una reazione assolutamente (e biblicamente) giustificata, salvo che una speranza esiste, e quella non si trova in noi e nelle nostre opere.

I nostri talenti

Leonardo da Vinci aveva indubbiamente ricevuto da Dio talenti straordinari. Giorgio Vasari, nella biografia che scrive su Leonardo, afferma:
“Grandissimi doni si veggono piovere dagli influssi celesti ne’ corpi umani molte volte naturalmente, e sopra naturali, talvolta, strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo bellezza, grazia e virtù, in una maniera, che dovunque si volge quel tale, ciascuna sua azzione è tanto divina, che lasciandosi dietro tutti gl’altri uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa (come ella è) largita da Dio e non acquistata per arte umana. Questo lo videro gli uomini in Lionardo da Vinci, nel quale oltra la bellezza del corpo, non lodata mai a bastanza, era la grazia più che infinita in qualunque sua azzione; e tanta e sì fatta poi la virtù, che dovunque l’animo volse nelle cose difficili, con facilità le rendeva assolute. La forza in lui fu molta e congiunta con la destrezza, l’animo e ‘l valore, sempre regio e magnanimo. E la fama del suo nome tanto s’allargò, che non solo nel suo tempo fu tenuto in pregio, ma pervenne ancora molto più ne’ posteri dopo la morte sua” [3].
“Uomo d’altri tempi” (purtroppo) egli viveva con una prospettiva diversa da tanti nostri contemporanei, perché prendeva seriamente l’esortazione biblica che dice: "Se uno parla, lo faccia come si annunciano gli oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo faccia come si compie un servizio mediante la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli (1 Pietro 4:11).

Non si può fare a meno di inquadrare la questione del talento nella Parabola, appunto “dei talenti”, che Gesù racconta e che troviamo in Matteo 25 [4]. In questa parabola “un uomo”, prima di partire per un viaggio, chiama i suoi servi e “affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità” (14, 15). Il mandato che ricevono è di “farli fruttare”. Mentre i primi due espletano bene il loro mandato, investono i loro talenti e riescono a raddoppiarne il valore, dell’ultimo servo, che aveva ricevuto un solo talento, Gesù impietosamente dice:
“Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". Il suo padrone gli rispose: "Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti" (24-30).
Anche un solo talento Dio ce l’ha dato per uno scopo: per metterlo al servizio della Sua gloria e del benessere dell’umanità. Non ci troviamo generalmente proprio come quell’uomo che Gesù definisce “servo inutile”, anzi, “malvagio e fannullone”, che non solo disprezza ed insulta il suo padrone, ma nemmeno si dà da fare per mettere a buon frutto quell’unico talento che aveva ricevuto e, invece di investirlo, “lo nasconde sotto terra” e se ne va per i fatti suoi, solo per finire, poco tempo dopo, “gettato nelle tenebre di fuori”.

Indubbiamente Leonardo aveva investito magnificamente i suoi talenti (secondo i criteri umani), ma aveva conosciuto ben altri criteri di bellezza, di giustizia e di santità, quelli di Dio, di fronte ai quali si era giustamente sentito del tutto inadeguato, esclamando, appunto: "Ho offeso Dio e l'umanità perché le mie opere non hanno raggiunto la qualità che avrebbero dovuto avere".

Le nostre opere

Evidentemente Leonardo pure conosceva ciò che Dio aveva rivelato ai profeti, come Isaia, che afferma:
“Tutti quanti siamo diventati come l'uomo impuro, tutta la nostra giustizia come un abito sporco; tutti quanti appassiamo come foglie e la nostra iniquità ci porta via come il vento” (Isaia 64:6).
È lo stesso grande profeta Isaia che aveva detto, nel giorno della sua stessa vocazione, dopo avere avuto una visione della magnificenza e della santità di Dio:
“Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il SIGNORE degli eserciti!” (Isaia 6:5).
In questo mondo c’è tanto di buono e vi sono persone indubbiamente straordinarie dal punto di vista umano, ma nessuna di queste, conoscendo il Dio vero e vivente, non solo hanno mai esaltato sé stesse, ma hanno dovuto concordare con quanto afferma l’Antico Testamento. È il caso dell’apostolo Paolo, che, pur consapevole del bene che c’è nel mondo, citando ampiamente dalle Scritture e confrontandosi con la legge di giustizia di Dio, “paradossalmente” afferma:
"... com'è scritto: «Non c'è nessun giusto, neppure uno. Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno». (...) I loro piedi sono veloci a spargere il sangue. Rovina e calamità sono sul loro cammino e non conoscono la via della pace». «Non c'è timor di Dio davanti ai loro occhi». Or noi sappiamo che tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge, affinché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio; perché mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui; infatti la legge dà soltanto la conoscenza del peccato" (Romani 3:10-19).
Egli stesso, da “persona religiosa” estremamente zelante ed integerrima rispetto ai criteri umani di giustizia, onestanente dice:
"Sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Poiché, ciò che faccio, io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, ammetto che la legge è buona; allora non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. Difatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. (...) Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Romani 7:14-24).
Quello che per Leonardo valeva per le opere dell’arte e dell’ingegno, vale pure per le opere della giustizia, della misericordia e dell’amore. Messi a confronto con i criteri di giustizia, di bellezza e di santità di Dio (gli unici che valgano in assoluto) ci ritroviamo tutti, anche il migliore fra noi, profondamente inadeguati e ben al di sotto dello standard richiesto.

Forse che Dio, allora, è irragionevole e ci chiede quello che nessuno di noi è in grado di raggiungere? Forse che bisogna credere a coloro che dicono: “Fai il possibile, dai il meglio di te, e Dio ne sarà contento?”; “Tu sei solo un’insopportabile perfezionista”? No, quando ci rapportiamo all’unità di misura di Dio noi ci ritroviamo del tutto inadeguati, senza speranza. E allora?

L’unica speranza si trova in...

E allora, il testo biblico precedente che apposta ho lasciato in sospeso continua e dice: “Grazie però siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore...” (Romani 7:25). La speranza del cristiano, infatti, non si trova in sé stesso e nelle proprie opere, ma nella Persona e nell’opera del Salvatore Gesù Cristo. Non posso citare tutto qui, ma al capitolo 8 della stessa lettera l’Apostolo scrive:
"Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù, perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti, ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha fatto; mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito" (Romani 8:1-4).
L’apostolo Paolo nella sua vita, dal punto di vista umano, aveva conseguito tantissimo ed aveva una posizione rispettata di alte responsabilità, ma non se ne vantava, perché sapeva che soltanto grazie alla Persona ed all’opera di Cristo egli poteva essere accolto da Dio e salvato. Per questo aveva riposto in Lui soltanto ogni sua speranza. Ascoltatelo ancora una volta quando dice:
"... Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più ... quanto alla giustizia che è nella legge, [ero] irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, l'ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all'eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti. Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù" (Filippesi 3:4-12)
“Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo” (Galati 6:14).
Il nostro Leonardo da Vinci molto probabilmente aveva capito tutto questo, per questo le ultime sue parole erano state: "Ho offeso Dio e l'umanità perché le mie opere non hanno raggiunto la qualità che avrebbero dovuto avere". Prima di pronunciare queste parole, se leggete bene le parole del Vasari, Leonardo aveva chiesto di ricevere Cristo.

Prego e spero lo possa fare anche chi legge queste mie parole.

Note

1 commento:

  1. Gesù, Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti ebbero un intelligenza simile nel metodo e simile fu il loro volto nella maturità. Gesù modello e volto archetipo del genio. Anche le loro opere sono collegate tra loro. L'autoritratto di Leonardo ricorda il volto della Sindone di Torino, e gli affreschi della Cappella Sistina di Michelangelo illustrano la Passione di Gesù, pur non rappresentandola, meglio di tutti. Perchè il Cristo del Giudizio Universale è simile ad il dipinto di Aman crocifisso nella volta. Qui la somiglianza non sarebbe fisica ma funzionale. Aman è il protagonista del carnevale ebraico di ieri e di oggi. E Gesù sarebbe stato l'Aman del 33 d.c. I geni come i profeti viaggiano a ritroso nel tempo. Più che nelle opere degli artisti e nel loro volto che ritroviamo quello di Gesù. Cfr. ebook. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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