Nell'esperienza del pruno ardente (Esodo 3), Mosè si interroga sull'identità del Dio che lo chiama a condurre il suo popolo dalla schiavitù alla libertà della Terra promessa. Egli chiede a Dio stesso, quindi, di "qualificarsi". Così dice il testo biblico:
Mosè disse a Dio: «Ecco, quando sarò andato dai figli d'Israele e avrò detto loro: "Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi", se essi dicono: "Qual è il suo nome?" che cosa risponderò loro?» Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono». Poi disse: «Dirai così ai figli d'Israele: "l'IO SONO mi ha mandato da voi"» (Esodo 3:13-14).
Dio rivela a Mosè il Suo nome, la Sua identità, con una frase che, indubbiamente, nelle nostre traduzioni, è talmente sibillina da parerci tutto meno che "rivelazione", tant'è vero che non solo ci fa scervellare sul suo possibile significato, ma che ha suscitato da sempre molte discussioni. Il fatto che, in ebraico, quell'espressione sia una forma del verbo essere ci dice qualcosa di molto importante su una delle questioni che da sempre hanno impegnato la filosofia di ogni tempo e paese, cioè quella dell'ESSERE. La questione dell'ESSERE, infatti, è centrale per l'ontologia, branca della metafisica.
L'ontologia, infatti, si è sempre chiesta: Cos'è l'esistenza? L'esistenza è una proprietà reale degli oggetti? Qual è la relazione tra un oggetto e le sue proprietà? È possibile distinguere proprietà essenziali e proprietà accidentali di un oggetto? Cos'è un oggetto? Cosa significa dire che un oggetto esiste? Cosa costituisce l'identità di un oggetto? Quando un oggetto cessa di esistere, invece di cambiare semplicemente?
Il testo di Esodo ci informa al riguardo e forma la nostra concezione ebraico-cristiana del mondo e della vita.
Giovanni Calvino, nel suo commentario al libro dell'Esodo, spiega l'espressione "Io sono colui che sono" nei termini seguenti:
Ogni cosa, organica od inorganica nell'intero universo è creata ad eccezione di Dio stesso. Quando i filosofi parlano dell'ESSERE, quindi, attribuendolo ad altri che non sia Dio soltanto, errano grandemente. Tutto ciò che la creazione contiene è del tutto ed interamente dipendente per la sua esistenza da Dio (Atti 17:28; Ebrei 1:3).In ebraico il verbo è espresso nel tempo futuro: "Io sarò quel che sarò", ma ha la stessa forza del presente, se non che designa la durata perpetua del tempo [indica l'eternità, "Io sono l'Eterno"]. È una scelta comprensibile, perché Dio attribuisce solo a Sé stesso la gloria divina, in quanto Egli solo non deve la sua esistenza ad alcuno, è eterno. È Lui che fa esistere, che dà esistenza ad ogni creatura. Egli non definisce Sé stesso con ciò che è comune ed è condiviso da altri, ma attribuendo a Sé stesso ciò che è peculiare solo a Dio, [l'eternità] ci porta ad onorarlo con la dignità che a Lui solo compete. Quindi, immediatamente dopo, contrariamente ad ogni corretta forma grammaticale, fa uso dello stesso verb nella prima persona come sostantivo connettendolo ad un verbo nella terza persona, affinché la nostra mente si riempia di ammirazione ogni qual volta si menziona la sua essenza incomprensibile.
Sebbene i filosofi disquisiscano con grandi termini di questa eternità e Platone affermi costantemente come Dio sia in modo peculiare TO ON (l'Essere), essi non applicano questo titolo in modo saggio ed appropriato, vale a dire che quest'unico e solo Essere di Dio assorbe ogni immaginabile essenza e che quindi, al tempo stesso, che a Lui appartiene la potenza principale ed il governo di ogni cosa. Da dove proviene, infatti, la moltitudine di falsi déi (inclusi "gli déi dei filosofi"), se non facendo a pezzi la Divinità con le loro folli immaginazioni? Per questo motivo, al fine di apprendere correttamente l'unico Dio, dobbamo prima sapere che tutte le cose in cielo e sulla terra derivano da Lui, sono "precarie", derivano dalla grazia. È da questo Essere che ogni potere è derivato, perché se Dio sostiene ogni cosa con la Sua eccellenza Egli governa ogni cosa secondo la Sua volontà. Quale profitto avrebbe avuto Mosè nel contemplare la segreta essenza di Dio, come se fosse rinchiusa in Cielo, se non che, assicurato dell'onnipotenza di Dio, avesse ottenuto da là ilbrocchiero della sua fiducia? Dio, quindi, gli insegna che Lui solo è degno del nome più santo il quale non può che essere profanato se attribuito ad altri e quindi stabilisce la sua inestimabile eccellenza, tanto che Mosè non abbia dubbio alcuno che potrà prevalere su ogni cosa sotto la Sua guida. (Calvino, Armonia della Legge).
Difatti, in lui viviamo, ci moviamo, e siamo, come anche alcuni vostri poeti hanno detto: "Poiché siamo anche sua discendenza" (Atti 17:28).
Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi" (Ebrei 1:3).
Inoltre, ogni cosa è in DIVENIRE, e quindi non statica, come esige l'ESSERE. Ogni cosa, ad eccezione di Dio è quindi mutevole, perde degli attributi e ne consegue degli altri. Ciò che essi diventano è determinato pure dalla Sua provvidenza.
"Ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c'è variazione né ombra di mutamento" (Giacomo 1:17).
Ecco così, quindi, come i filosofi siano in errore quanto parlano dell'ESSERE come attributo di una qualsiasi cosa creata.
Tutto cio che è è precario, temporaneo, derivato e ha significato solo quando lo stesso lo si trova in Dio. Solo Dio "esiste" e tutto il resto non è che prodotto che trova il suo senso ultimo nei Suoi propositi. La "consistenza" di una qualsiasi cosa "ha senso" (trova il suo significato) solo quando "co-esiste" rapportandosi con Dio. Senza questa "co-esistenza" ogni cosa diventa futile e vana, "insensata" perché non le si attribuisce il senso che le attribuisce Dio.
Dio solo esiste, tutto il resto sussiste grazie a Lui.
Dio solo esiste, tutto il resto sussiste grazie a Lui.
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