“Non sapete voi che se vi date a uno come servi per ubbidirgli, siete servi di colui a cui ubbidite: o del peccato che mena alla morte o dell'ubbidienza che mena alla giustizia?”.
Altre versioni dicono: “Non sapete voi che se vi offrite a qualcuno come schiavi per ubbidirgli, siete schiavi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell'ubbidienza che conduce alla giustizia?” [NR]; “Non sapete voi che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell'obbedienza che conduce alla giustizia?” [CEI]; “Non sapete voi che a chiunque vi offrite come servi per ubbidirgli, siete servi di colui al quale ubbidite, o del peccato per la morte, o dell'ubbidienza per la giustizia?” [NR]; Non sapete voi, che a chiunque vi rendete servi per ubbidirgli, siete servi a colui a cui ubbidite, o di peccato a morte, o d'ubbidienza a giustizia?” [Diodati]. Esse traducono: “οὐκ οἴδατε ὅτι ᾧ παριστάνετε ἑαυτοὺς δούλους εἰς ὑπακοήν, δοῦλοι ἐστε ᾧ ὑπακούετε, ἤτοι ἁμαρτίας εἰς θάνατον ἢ ὑπακοῆς εἰς δικαιοσύνην;”
Qui non si parla di un peccato specifico che conduca alla morte, ma si contrappone il peccato in generale all’ubbidienza. Il peccato (in quanto ribellione a Dio e disubbidienza alla Sua legge) risulta in morte (le sue conseguenze penali), e l’ubbidienza (la fiduciosa ubbidienza a Dio) risulta nella “giustizia”. Il peccato (la trasgressione), rappresentato dalla disubbidienza di Adamo, ha avuto per risultato la morte sua (in tutti i sensi) e di tutti i suoi discendenti. L’ubbidienza, rappresentata da quella del Cristo, risulta nella Sua giustizia, accreditata a tutti coloro che Lo seguono.
Di fatto, per evitare equivoci, in italiano, in questo testo, bisognerebbe mettere una virgola dopo “peccato” e dopo “ubbidienza”, in questo modo: “...del peccato, che conduce alla morte, o dell'ubbidienza, che conduce alla giustizia”.
Il peccato è fondamentalmente ribellione e disubbidienza a Dio. Sottrarsi a Dio ed alla Sua legge implica necessariamente morte, perché la vita può solo essere garantita da Dio (che ne è l’autore) e dalla conformità ai Suoi giusti ordinamenti (la “giustizia"). “...poiché il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23).
In questo testo, quindi, non si parla così tanto di quale sia specificatamente “il peccato che porta alla morte” ma del peccato in generale. Tutti i peccati possono essere perdonati in Cristo se confessati ed abbandonati. Difatti il versetto completo di Romani 6:23 dice: “Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore”. Quello che non può essere e non sarà perdonato è l’empia ed ostinata ribellione a Dio, il rifiuto del Salvatore Gesu Cristo, non tanto singoli atti.
Il riferimento al “peccato che porta alla morte” “ἁμαρτία πρὸς θάνατον” (amartia pros thanaton) appare in un altro testo del Nuovo Testamento, vale a dire 1 Giovanni 5:16. Si tratta sempre dell’ostinata e persistente ribellione a Dio e il rifiuto del Salvatore Gesù Cristo che conduce a conseguenze irreparabili. Ne parlerò, però, in un articolo a parte, rammentando pure la concezione non biblica, tipica del Cattolicesimo romano, fra "peccati veniali" e "peccati mortali", funzionale alla sua'artificiosa e deviante sovrastruttura sacramentale.
Nel contesto di Romani 6:16, il messaggio dell’Apostolo potrebbe riassumersi nella seguente esortazione:
Non aveva per noi alcun profitto a seguire la via del peccato, perché conduce inesorabilmente alla morte. Che dunque ora le nostre membra, già poste al servizio del peccato, siano poste al servizio della giustizia. Che i nostri occhi siano impiegati per scrutare diligentemente le Scritture di verità; le nostre orecchie nell'ascoltare la predicazione dell'Evangelo; le nostre labbra, bocca e lingua nell'esprimere le lodi di Dio per ciò che egli ha fatto per noi; le nostre mani a distribuire ciò che è verità e amore; i nostri piedi usati per recarci al culto comunitario ed in ogni occasione di testimonianza cristiana. Facciamolo come volenterosi servitori del Signore per adempiere alla Sua volontà; e, nello stesso modo, liberamente, volentieri e con gioia, costantemente ed in ogni modo, in ogni atto di giustizia e di santità.
Ciao Paolo,
RispondiEliminaio avevo, forse erroneamente, collegato il peccato che conduce a morte con questo passo:
1Corinzi 11:28-30
28 Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; 29 poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore.
30 Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono.
Non potrebbe essere che il Signore decida di porre fine la vita sulla terra di persone per il loro peccato?
Ho detto una sciocchezza?
Ciao e grazie
Orazio
Caro Orazio, anche su quel testo mi riservo di tornare in seguito con un articolo specifico. Per il momento potrebbe esserti utile quanto avevo scritto in: http://paolocastellina.pbworks.com/w/page/14190792/Questioni%20di%20vita%20e%20di%20morte
RispondiEliminaConcordo in pieno. Stranamente alcuni hanno introdotto categorie di peccati dividendoli tra veniali e mortali, quando le scritture dicono esplicitamente: violi un punto della legge e li hai violati tutti (Gia 2:10)
RispondiEliminaMa il Signore Gesu' Cristo e' abbastanza chiaro a riguardo: "Perciò io vi dico: Ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini; ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà loro perdonata" Mat 12:31 LND
Quindi non e' un peccato in se' quanto il rifiuto, la resistenza ostinata contro lo Spirito Santo.
Pace, Simone
Ho riveduto un poco questo articolo perfezionandolo.
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