Risposta di Gesù alla domanda della madre di Giacomo e di Giovanni. “20Allora la madre dei figli di Zebedeo si avvicinò a Gesù con i suoi figli, prostrandosi per fargli una richiesta. 21Ed egli le domandò: «Che vuoi?» Ella gli disse: «Di' che questi miei due figli siedano l'uno alla tua destra e l'altro alla tua sinistra, nel tuo regno». 22Gesù rispose: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete voi bere il calice che io sto per bere?» Essi gli dissero: «Sì, lo possiamo». 23Egli disse loro: «Voi certo berrete il mio calice; ma quanto al sedersi alla mia destra e alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma sarà dato a quelli per cui è stato preparato dal Padre mio». 24I dieci, udito ciò, furono indignati contro i due fratelli. 25Ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «Voi sapete che i prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. 26Ma non è così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore; 27e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; 28appunto come il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti»” (Matteo 20:20-28).
Un giorno, la madre dei discepoli Giacomo e Giovanni, travisando completamente la messianicità di Gesù, il cui regno “non è di questo mondo” (Giovanni 18:36), Gli fa “una richiesta”. Vorrebbe che Gesù favorisse i propri figli concedendo loro di sedere un giorno l'uno alla Sua destra e l'altro alla Sua sinistra, nel Suo regno, quando, trionfante sull’invasore romano e suoi suoi compiacenti lacchè, avrebbe “preso il potere” a Gerusalemme.
Una madre vuole sempre il meglio per i suoi figli: che onore sarebbe stato vederli ammantati come principi, come i ministri più importanti del Re messianico. Possiamo comprendere quella madre, ma sicuramente lei non aveva capito proprio nulla di Gesù e sul Suo “stile”. Quella donna ragionava come ragiona il mondo. Il vangelo secondo Marco, nel riportare questo episodio, dice che erano stati invece gli stessi Giacomo e Giovanni a fare a Gesù questa richiesta. Non sappiamo se Matteo introduce la figura della loro madre come “responsabile” della cosa, magari per “proteggere” la loro reputazione, ma possiamo ben supporre che madre e figli fossero in qualche modo “in combutta” perché Gesù, in ogni caso, risponde loro al plurale e dice: “Voi non sapete quello che chiedete” (v. 22).
Questa richiesta non sorprende affatto, perché, in quella fase del ministero di Gesù, nessuno dei Suoi discepoli Lo aveva veramente ancora compreso, tant’è vero che, sempre in Marco, troviamo il commento: “I dieci, udito ciò, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni” (Marco 10:45). Perché si erano indignati? Perché Giacomo, Giovanni e la loro madre non avevano capito Gesù, oppure erano indignati per aver incoraggiato un “favoritismo” - loro che avrebbero voluto che un giorno “si sarebbe tirato a sorte” per stabilire chi avrebbe occupato i posti più importanti nel regno di Gesù?
Vale la pena ancora di citare l’episodio dei vangeli dove Pietro vorrebbe dissuadere Gesù dal recarsi a Gerusalemme “in bocca del lupo” e “finire male”. Che cosa gli risponde Gesù? “Ma Gesù, voltatosi, disse a Pietro: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini»” (Matteo 16:23).
In quella fase, i discepoli di Gesù avrebbero dovuta indubbiamente farne ancora molta di strada con Lui per acquisire “il senso delle cose di Dio” e smetterla di ragionare com’è comune in questo mondo corrotto e decaduto. E’ così che, dopo la richiesta della madre di Giacomo e Giovanni, Gesù continua ad insegnare loro mettendo in rilievo come “Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti»” (v. 28). Così, come Gesù, nel ruolo di “Figlio dell’uomo”, cioè di modello d’umanità autentica in comunione con Dio, era venuto per servire e non per farsi servire, così i Suoi discepoli dovevano imparare a ragionare e a comportarsi in modo diverso da com’è comune in questo mondo decaduto e corrotto. Difatti Gesù dice loro: “Voi sapete che i prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore” (v. 25, 26). Più tardi Gesù lo dimostrerà visibilmente quando, Lui, il Signore e il Maestro, si mette a lavare loro i piedi, come un umile e disprezzabile domestico, e dice: “Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” (Giovanni 13:14).
Questo “non avere il senso delle cose di Dio ma delle cose degli uomini” continua oggi ad essere un problema nella chiesa cristiana non solo nella questione specifica alla quale Gesù si rivolge in questo brano - vale a dire che la vera grandezza, per Dio sta nel servire, non nell’essere servito - ma anche in coloro che ritengono che la stessa espressione di Cristo: “Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti»” (v. 28) possa giustificare un concetto non meno grave, anzi, del tutto aberrante. Alcuni vorrebbero usare, infatti, questa frase di Gesù per giustificare il concetto - e questo mi sembra veramente il colmo - che Dio, in quello che è e fa in Cristo, sarebbe al nostro servizio! Che Dio è venuto in Cristo per servirci e riverirci, noi che “siamo così importanti”! Come se Dio “ci dovesse” la salvezza che è venuto a portarci in Cristo, magari per ...riparare i Suoi errori! Da questo deriva poi l’idea, pure piuttosto comune “quaggiù”, che Dio stesso o “la religione” sia qualcosa di sostanzialmente al nostro servizio, funzionale al nostro benessere! In qualche modo certo lo è, ma questo mi sembra un modo veramente diabolico per capovolgere il concetto stesso che noi siamo al servizio di Dio e non Dio al nostro servizio!
Lo si sente spesso predicare: un malinteso senso dell’amore di Dio dipinge Dio che “si fa in quattro” per venire in soccorso dell’umanità lo si spinge a tal punto da ignorare che l’umanità di fatto è, come si esprimono alcuni autori, una “massa perditionis”, una “massa dannata”, giustamente condannata ed abbandonata da Dio al proprio destino per essersi ribellata alla Sua autorità ed alla Sua legge e per voler essere Dio a sé stessa, davvero una “vil razza dannata”, odiata e non amata da Dio. La Scrittura è chiara a questo riguardo, sia nell’Antico come nel Nuovo Testamento: “Quelli che si gloriano, non potranno reggere davanti ai tuoi occhi; tu hai in odio tutti gli operatori d'iniquità” (Salmo 5:5); “'Eterno prova il giusto; ma l'anima sua odia l'empio e colui che ama la violenza” (Salmo 11:5). “Perché l'ira di Dio si rivela dal cielo sopra ogni empietà e ingiustizia degli uomini, che soffocano la verità nell'ingiustizia” (Romani 1:18).
Mi si risponderà: “Ma non è forse vero che Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo unigenito Figlio affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita eterna?”. Sì, ma quel versetto non è tradotto in modo corretto perché parla della misericordia di Dio che da questa umanità giustamente condannata trae fuori un certo numero di persone concedendo loro grazia e salvezza attraverso il ravvedimento e la fede in Gesù Cristo. Sono gente di ogni tempo e paese: essi e solo essi sono “il mondo” che Dio ama in Cristo, così come quel versetto implica. Con esso, infatti Gesù risponde all’ebreo Nicodemo che credeva che Dio salvasse solo gli Israeliti. No, non solo Israeliti, ma anche “il mondo”, vale a dire gente di ogni nazione. Dio li salva non perché siano meritevoli di alcunché (sono infatti peccatori condannabili tanto quanto gli altri), ma perché sceglie sovranamente di concedere loro la grazia rigenerandoli e lasciando gli altri a patire la giusta condanna che meritano. Nulla di meritato, nulla di scontato, nulla di dovuto: Dio viene in Cristo per manifestare la sua misericordia così come manifesta la Sua giustizia nella condanna di tutti gli altri.
Sicuramente questo discorso appare “scandaloso” per gli illusi seguaci dell’umanesimo religioso moderno che si creano la propria conveniente versione di “cristianesimo” ignorando quanto dice Gesù e l’intera Scrittura sulla giusta ira di Dio. Si dipingono, infatti, un Dio “così buono” che salverebbe tutti quanti, mettendosi “al servizio” dell’umanità, mentre, di fatto le Scritture (lo stesso Gesù) dicono ben altro! “Chi crede nel Figlio ha vita eterna, ma chi non ubbidisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio dimora su di lui” (Giovanni 3:36).
Che cosa sono queste pie ed “amorevoli” intenzioni, se non un’altra espressione di chi ragiona anche in questo caso ancora secondo il mondo (decaduto e corrotto) e non “secondo Dio”? Esattamente la stessa mentalità di quei discepoli del nostro testo che ambivano “onore e gloria” accanto a Gesù, dimenticando che la via di Gesù passava verso la sofferenza e la croce (la Sua), ed attraverso la loro conversione (il loro ravvedimento e radicale “cambiamento di mentalità”. Non è quindi un Dio che “si mette al servizio dell’uomo”, ma il Dio (quello vero e vivente) che si compiace di salvare una parte dell’umanità attraverso il ravvedimento e fiduciosa sequela di Cristo.
Chi si ritrova fatto oggetto di una tale grazia riconosce la sua indegnità e come prima era al servizio di sé stesso e dei propri comodi, ora si pone volentieri e con gratitudine al servizio di Dio che lo ha salvato in Cristo. Infatti: “...poiché, come già prestaste le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità per commettere l'iniquità, così prestate ora le vostre membra a servizio della giustizia per la santificazione” (Romani 6:19).
“Non a noi, o SIGNORE, non a noi, ma al tuo nome da' gloria, per la tua bontà e per la tua fedeltà” (Salmo 115:1).
Bellissima riflessione caro pastore Castellina.
RispondiEliminaChe davvero il Signore ci (me in primis) dia di comprendere che ogni cosa è finalizzata al suo onore e gloria e non a noi. Quanto è difficile comprendere che ogni bene che ci viene fatto non è a motivo del nostro essere "bravi" o "buoni", ma solo perché così a Dio è piaciuto, ovvero di manifestare la propria benevolenza, per amore del suo Nome, in noi tramite Cristo.
1 SAMUELE 12,22:
Infatti il Signore, ""per amore del suo grande nome"", non abbandonerà il suo popolo, poiché è piaciuto al Signore di fare di voi il suo popolo.
Amen.