mercoledì 10 novembre 2010

Che cosa significano i termini "pelagianesimo", "semipelagianesimo", e "arminianesimo" e in che modo si rapportano l'uno con l'altro?


Mentre è popolare oggi l'insegnamento che Dio, "per la Sua grande bontà" alla fine salverebbe incondizionatamente tutti senza eccezione, prevale oggi nella maggior parte delle chiese e gruppi l'idea che la propria salvezza dipenda, in maggiore o in minor misura, dalla libera decisione di una persona di accogliere quanto, ai fini della salvezza, gli è provveduto in Cristo, da cui la necessità di presentare a tutti l'Evangelo della salvezza affinché tutti ne abbiano l'opportunità. Tutto questo sembra ai più "cosa ovvia" e persino "coerente con la Bibbia". Affermare, però, che l'essere umano di fatto non goda di questa libertà e che Dio salva, a Suo insindacabile ed incondizionato giudizio, chi Lui vuole, viene generalmente ricevuto con indignazione come un attentato al libero arbitrio, e riprovato come un grave insulto alla dignità umana, per non dire "ingiusto" ed assurdo. Ci si affretta, così, a trovare nella Bibbia versetti che implicherebbero questa conclamata libertà.

Quanto così oggi viene sostenuto con tanta sicurezza, però, è frutto di ignoranza biblica, teologica e storica. Non solo non è coerente con l'insieme dell'insegnamento delle Scritture come confermato da millenni di storia della teologia cristiana, ma corrisponde a concezioni non nuove definite e condannate dalla chiesa cristiana antica come eresie non bibliche. Queste concezioni sono definite come "pelagianesimo", "semipelagianesimo" e "arminianesimo".

I termini "pelagianesimo", "semipelagianesimo" e "arminianesimo" hanno in comune d'essere tutti forme di teologia sinergistica, vale a dire, la concezione secondo la quale la salvezza di una persona trae origine non da un atto libero ed unilaterale di Dio, ma è attuata, in varia misura, dalla "collaborazione" fra Dio e l'essere umano, in cui Dio farebbe "la Sua parte" e l'essere umano la propria. Ciascuno di questi sistemi sinergistici si contrappongono a ciò che comunemente è chiamato "calvinismo" o "agostinismo" (il pensiero di Giovanni Calvino o di Agostino d'Ippona) che insegnano come Dio sovranamente impartisca a ciascuno dei Suoi eletti un "nuovo cuore" che non possa fare altrimenti che credere in Cristo, e così ricevere giustificazione e salvezza eterna.

Il pelagianesimo, la prima e più radicale di queste teologie sinergistiche, appare nel quarto secolo ad opera del monaco britannico Pelagio. Pelagio insegnava come la natura umana non è stata alterata dalla caduta di Adamo, ma che ogni essere umano continui ad essere libero di scegliere fra il bene ed il male, di ubbidire a Dio o di disubbidirgli. Gli esseri umani, così, non sarebbero colpevoli per natura, ma solo diventerebbero colpevoli quando scelgono di fare ciò che è male. Pelagio, inoltre, insegnava come il peccato di Adamo non avesse corrotto la sua discendenza, ma solo dato un cattivo esempio, che essa può scegliere o non scegliere di seguire. Agostino, vescovo di Ippona, si profila nel suo tempo come grande avversario di Pelagio, insegnando che l'essere umano, secondo le Sacre Scritture, è contaminato dal peccato e che i comandamenti che Dio gli prescrive d'osservare non implichino la capacità morale dell'essere umano di osservarli. Il Pelagianesimo è stato ufficialmente condannato dalla Chiesa nel 431, al concilio di Efeso.


"Semi-pelagianesimo" è un termine coniato al tempo della Riforma protestante per descrivere forme modificate, rivedute, di Pelagianesimo sorte dopo il Concilio di Efeso, nel sesto secolo. Secondo il semi-pelagianesimo, l'essere umano non è libero di scegliere il bene ed il male, ma è almeno libero di fare il primo passo verso Dio, di riporre in Lui la sua fede e che così gli sia data dalla grazia di Dio la capacità di scegliere il bene. Secondo questa concezione, l'essere umano, nella sua natura decaduta, non è libero di fare il bene, ma è almeno capace di credere e di accostarsi a Dio con le proprie facoltà e forze. Questa varietà di Pelagianesimo più soft pure era stata condannata dalla Chiesa nel 529 al Concilio di Orange. Giustamente, però, i Riformatori rilevano come la Chiesa cattolica-romana del XVI secolo fosse ridiventata del tutto semi-pelagiana.


L'arminianesimo si riferisce agli insegnamenti di Giacomo Arminio ed ai cinque punti della Rimostranza da lui opposta alla dottrina delle Chiese riformate. Secondo Arminio, l'essere umano non è così depravato da non potere cercare naturalmente Dio. L'atto per cui Dio sceglie chi salvare sarebbe basato sulla Sua capacità di vedere anticipatamente chi sarebbe venuto autonomamente alla fede [Dio sceglie, rende Suoi eletti, coloro che da sé stessi pervengono alla fede nel Salvatore Gesù Cristo]. L'opera redentrice di Cristo sarebbe così disponibile a tutti gli esseri umani ed applicata a coloro che liberamente decidono di credere. Dopo che una persona liberamente giunge ad un'autentica e salvifica fede in Cristo, essa è ancora sempre passibile di decadere dalla grazia ed essere perduta per sempre. Il Sinodo delle Chiese riformate di Dordrecht, nel 1618-19, condanna ufficialmente l'Arminianesimo e, ribadendo i principi della soteriologia riformata classica, li condensa in quelli che sono conosciuti come i "Cinque punti del Calvinismo". Vi sono, però, molte chiese protestanti e denominazioni oggi che sostengono la teologia arminiana.

L'arminianesimo differisce dal semi-pelagianesimo nell'insegnamento del primo sulla grazia preveniente. Contro il semi-pelagianesimo, l'arminianesimo di solito insegna che l'essere umano non ha per natura la capacità naturale di credere. Dio, però, estenderebbe la Sua grazia preveniente a tutti gli esseri umani senza eccezione dando così loro la capacità morale di scegliere se credere o non credere. In questo modo la salvezza di una persona dipenderebbe interamente dal fatto che essa si avvalga oppure meno di questa grazia preveniente e creda in Dio.

Per approfondire:

3 commenti:

  1. Io ritengo che l'uomo è totalmente depravato e quindi impossibilitato a credere. La scrittura dichiara che a motivo del peccato egli è morto spiritualmente e, siccome Dio e la sua legge (morale) sono spirituali egli non può intendere e quindi rimane nel suo peccato. Dio in sostanza deve rivelare suo Figlio come Signore e Salvatore attingendo alla sua infinita misericordia. In tutto questo va riconosciuta la sovranità di Dio senza alcuna partecipazione umana. La grazia salvifica è senza alcun dubbio un dono di Dio.

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  2. Io penso che (nel peccato originale) bisogna distinguere tra colpa e conseguenze. La colpa è attribuibile solo ai progenitori: non a tutti discendenti. Le conseguenze invece (morte, dolore, fatica, concupiscenza, debolezza, ecc.) ricadono su tutti. Come del resto credono gli Ebrei, i più attendibili esegeti della Bibbia..
    Il mito di Adamo vuole solo spiegare l'origine del male: non farcene una colpa. Non tratta di "arbitrio", mutato da libero in servo.. Semmai di "libertà condizionata" dell'uomo.. Condizionata dalla sua stessa natura umana. Sempre capace comunque di volere/potere/fare il bene ed il male. Meglio, molto meglio, con l'aiuto di Dio/Padre, la "grazia", che può sempre cercare ed ottenere, liberamente/gratuitamente. A disposizione di tutti gli uomini che la vogliono.

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  3. Quindi non c'è bisogno di "redenzione" dell'umanità da una colpa originale. Ma dalle evidenti "conseguenze" di tale colpa.
    Ma tale redenzione non c'è mai stata: perché le conseguenze permangono. Prima Mosè e poi il Messia hanno indicato/portato la "salvezza".. Indicata prima nella Torà e poi nel Vangelo (oltre al loro esempio di vita).
    Ma nulla più: anche la grazia divina c'era già, dalla creazione..

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