sabato 12 gennaio 2013

Il nostro lavoro può e deve essere un culto reso a Dio

C'è una parola di Gesù che può essere particolarmente appropriata per quei lavoratori che fanno lavori noiosi e spesso frustranti, dei quali talvolta si lamentano. Si trova nel quinto capitolo del vangelo secondo Luca.

Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni si guadagnavano da vivere pescando e vendendo pesce. Come altri pescatori, dovevano lavorare al largo tutta la notte gettando le loro reti in acqua e sperando di tirarle fuori cariche di pesce. Come gli altri pescatori, anch'essi sapevano che cosa volesse dire vedere arrivare il mattino e non essere riusciti a pescare nulla. Uno di loro, infatti, dice: "Ci siamo affaticati tutta la notte e non abbiamo preso nulla" (5).

Gesù sta predicando la Parola di Dio ed essi pulivano le reti. Mentre la folla attorno a Lui cresce, Gesù ha un'idea. Nota due barche legate al molo. I pescatori le avevano appena lasciate e stavano rassettando le reti. Sale su una barca e chiede al proprietario di portarla in acqua un poco più lontano dalla riva. Sedendovi sopra, Gesù usa la barca come se fosse un pulpito e comincia ad insegnare alle folle ("Vide due barche ormeggiate alla riva del lago, dalle quali erano scesi i pescatori e lavavano le reti. Allora salì su una delle barche, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Postosi a sedere, ammaestrava le folle dalla barca" vv. 2,3).

Gesù pretende di poter usare la barca di Pietro. Non ne richiede l'uso. Cristo non fa una domanda scritta o ne chiede il permesso. Egli semplicemente sale su quella barca e comincia a predicare. Ha il diritto di farlo. Sapete il perché? Perché tutte le barche appartengono a Cristo. La tua barca è il luogo dove passi le tue giornate per guadagnarti da vivere e dove trascorri gran parte della tua vita. Il taxi che guidi, la stalla in cui lavori, il laboratorio dentistico dove operi, la famiglia di cui ti prendi cura e i trasporti - questa è la tua barca. Cristo ci batte un dito sulla spalla e ci rammenta: "Tu guidi il mio camion", "Tu presiedi il mio tribunale", "Tu lavori nel mio ufficio", "Tu servi nel mio reparto d'ospedale".

A tutti noi Gesù dice: "Il tuo lavoro è il mio lavoro". I nostri mercoledì importano a Lui tanto quanto le nostre domeniche. Cristo cancella la differenza fra il sacro ed "il secolare". Una mamma aveva messo un cartello sul lavandino della sua cucina: "Qui si fanno ogni giorno opere religiose". Un impiegato aveva messo una targhetta nel suo ufficio che diceva: "La mia scrivania è il mio altare". Entrambi hanno ragione. Con Dio il lavoro "secolare" che facciamo vale tanto quanto il nostro culto. Anzi, il lavoro può e deve essere un culto reso a Dio.

Pietro, il proprietario di quella barca, scriverà più tardi: "Voi siete una stirpe eletta, un regale sacerdozio, una gente santa, un popolo acquistato per Dio, affinché proclamiate le meraviglie di colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua mirabile luce" (1 Pietro 2:9).

Un sacerdote rappresenta Dio e tutti voi, amici miei, rappresentate Dio. E' così che: "Qualunque cosa facciate, in parola o in opera, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui" (Colossesi 3:17). Quando ti rechi in auto o in treno al tuo ufficio, in realtà tu stai andando al tuo santuario. Quando vai a scuola, vai ad un tempio. Potresti non essere un ministro di Dio consacrato ufficialmente da una chiesa. In realtà tu sei, comunque, un ministro di Dio. La tua barca è il tuo pulpito.

Da: Cure for the Common Life, by Max Lucado. Copyright (W Publishing Group, 1998, 2001) Max Lucado.

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