martedì 24 luglio 2018

La legittimità biblica di muri e barriere


Perché costruire un muro ai nostri confini è un atto moralmente buono. La Bibbia guarda con favore ai muri protettivi

di Wayne Grudem

Costruire un muro sui nostri confini è un'azione moralmente buona? Come professore che ha insegnato etica per 41 anni, io credo di sì – di fatto, la Bibbia stessa ripetutamente guarda con favore i muri protettivi.

I muri davano pace e sicurezza. Nel mondo dell'Antico Testamento si costruivano mura attorno alle città per proteggersi dai ladri, dagli assassini e da altri criminali, come pure da invasori stranieri che avrebbero potuto distruggere la città. Tutti potevano entrare in città, ma dovevano farlo dalla porta in modo tale che gli ufficiali della città effettuassero i dovuti controlli su chi entrava ed usciva. Il dibattito di oggi riguarda aree più grandi di quelle, ma i principi sono gli stessi.

Un solido muro dava pace e sicurezza alla città, e una preghiera di benedizione per una città diceva: “Ci sia pace entro le tue mura e prosperità nei tuoi palazzi” (Salmi 122:7). Vi era pure una componente spirituale, perché il Signore stesso rafforzava le porte nelle mura così da proteggere i figli, la pace e la prosperità di una città: “Loda l'Eterno, o Gerusalemme, celebra il tuo DIO, o Sion. Poiché egli ha rinforzato le sbarre delle tue porte e ha benedetto i tuoi figli in mezzo a te. Egli conserva la pace entro i tuoi confini e ti sazia col fior di frumento” (Salmi 147:12-14).

Dopo essersi stabilito in Gerusalemme, sua capitale, il re Davide pregava: “Fa' del bene a Sion per la tua benevolenza, edifica le mura di Gerusalemme” (Salmi 51:18). La benedizione di Dio includeva mura forti! Dopo Davide era salito al trono Salomone, che termina e rafforza le mura attorno a Gerusalemme (1 Re 3:1).

Il popolo di Israele, però, allontanandosi da Dio e dalle sue prescrizioni, si attira il giudizio di Dio sotto forma degli invasori babilonesi che abbattono le mura della città: “Poi incendiarono la casa di DIO, demolirono le mura di Gerusalemme, diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e ne distrussero tutti gli oggetti di valore” (2 Cronache 36:19; cfr. Geremia 52:14). Ad abbattere le mura era stato il giudizio di Dio! Fintanto che Gerusalemme rimane senza mura essa diventa oggetto di vergogna e di derisione: “Essi mi dissero: «I superstiti che sono scampati dalla cattività sono laggiù nella provincia, in grande miseria e obbrobrio; inoltre le mura di Gerusalemme sono piene di brecce e le sue porte consumate dal fuoco»” (Neemia: 1:3).

La patetica vergogna di una città priva di mura è pure evidente in questo proverbio: “L'uomo che non sa dominare la propria ira [privo di autocontrollo] è come una città smantellata senza mura” (Proverbi 25:28). Il che implica che un tal uomo ed una tale città sono entrambi destinati alla perdizione.

Dopo settant’anni di esilio in Babilonia, il popolo ebraico è finalmente in grado di ritornare e di ricostruire le mura di Gerusalemme. Neemia chiede al re persiano Antaserse di procurargli il legname necessario per riedificare il muro e le sue porte: “...e una lettera per Asaf, sorvegliante della foresta del re, affinché mi dia il legname per costruire le porte della cittadella annessa al tempio, per le mura della città e per la casa in cui andrò ad abitare». Il re mi diede le lettere, perché la mano benefica del mio DIO era su di me” (Neemia 2:8). In questo caso, la benedizione di Dio è evidente quando il capo del governo autorizza l’assegnazione dei materiali per ricostruire il muro.

Neemia, poi, per la ricostruzione di quelle vaste mura, aveva bisogno di molti operai. Così sfida il popolo: “Allora io dissi loro: «Voi vedete la misera condizione nella quale ci troviamo: Gerusalemme è distrutta e le sue porte sono consumate dal fuoco! Venite, ricostruiamo le mura di Gerusalemme, e così non saremo più nell'obbrobrio!»” (Neemia 2:17). Poi troviamo scritto: “Noi dunque ricostruimmo le mura che furono congiunte assieme fino a metà della loro altezza; il popolo aveva preso a cuore il lavoro” (Neemia 4:6). Un intero capitolo di Neemia è dedicato alla trascrizione dei nomi di coloro che avevano cooperato alla ricostruzione del muro, specificandone la sezione edificata da ciascuno (Neemia 3). Una tale trascrizione (avere i loro nomi registrati per sempre nelle pagine della Bibbia) era un onore significativo per coloro che hanno riparato il muro. Era un atto moralmente lodevole.

Quando il muro è completato fanno gran festa: “Alla dedicazione delle mura di Gerusalemme mandarono a cercare i Leviti da tutti i loro luoghi, per farli venire a Gerusalemme per celebrare la dedicazione con allegrezza, con lodi e con canti, cembali, arpe e cetre. (...) Poi io feci salire sulle mura i capi di Giuda e formai due grandi cori di lode. Il primo s'incamminò a destra, sulle mura, verso la porta del Letame” (Neemia 12:27,31).

Nella Bibbia troviamo un altro muro - al termine dello stesso Nuovo Testamento. L’apostolo Giovanni ha una visione della Nuova Gerusalemme, una grande città che scende dal cielo, ed essa include un muro: “Essa aveva un grande ed alto muro con dodici porte, e alle porte dodici angeli, e su di esse dei nomi scritti che sono i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele” (Apocalisse 21:12). Non sappiamo se si tratti di cosa da prendere alla lettera oppure è semplicemente parte della visione profetica. È chiaro, però che il muro serve per protezione della pace e della sicurezza di coloro che stanno nel suo ambito. [Quand'anche non fosse fisico, "il muro" rappresentano le dovute "misure di contenimento" e di giusta discriminazione, principio questo del tutto biblico: il peccato qui deve essere contenuto, messo sotto controllo; un giorno Dio escluderà (non includera!) nel suo regno determinate categorie morali di persone, cfr. Apocalisse 22:5].

Da questo sguardo panoramico posso concludere che la Bibbia considera i muri di confine come una cosa buona, cosa di cui ringraziare Dio. Muri sui confini sono un grande deterrente al male e forniscono una chiara e visibile evidenza che una città o una nazione che esercita un controllo su chi vi entra, è assolutamente essenziale se un governo vuole prevenire che la nazione scivoli sempre di più nell’anarchia.

Obiezioni

(adattamento dell’articolo originale: vedasi l’originale per dettagli).

Si potrebbe obiettare che noi dovremmo essere una nazione che dà il benvenuto agli immigranti. Certo, ma se vi giungono legalmente. Non si fa loro alcun favore se la mancanza di un muro li tenta a rischiare la morte attraversando deserti alla mercé di criminali violenti per giungere poi senza documentazione legale, solo per vivere da noi come una sotto-classe legale, facilmente sfruttati, vivendo nel timore di essere scoperti. Questo, poi, diminuisce il rispetto per la legge e destabilizza la nazione quando milioni di persone vivono all'ombra fuori dal sistema di registrazione legale della nazione. Vi devono poi essere necessariamente dei limiti nelle ammissioni. Una politica di “frontiere aperte” sconvolgerebbe un’intera nazione. Come potrebbero nazioni dal territorio e dalle risorse limitate, accogliere milioni di immigranti senza sconvolgerla del tutto deprivandone i cittadini? Costruire un muro con porte ben regolate dichiara che, mentre si dà il benvenuto agli immigranti, noi, non loro, siamo quelli che decidono quali e quanti. Opporsi ai “muri” promuove solo maggiore disordine ed illegalità.

La Bibbia non ci esorta forse a prenderci cura degli stranieri? Certo, ma vi devono sempre essere i mezzi per regolare quanti stranieri lasciamo entrare nel nostro paese e chi ne possa essere qualificato - e “il muro” è il mezzo più efficace per farlo. Quando la Bibbia dice: “Amate dunque lo straniero, perché anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto” (Deuteronomio 10:19), è dimostrabile che questi “stranieri”, meglio tradotto come “soggiornanti” o “residenti stranieri”, in ebraico ger, erano persone che erano entrate in Israele legalmente, con i dovuti permessi e conoscenza e rispetto del paese che li ammetteva. Uno straniero che entri in un paese in modo furtivo non aveva riconoscimento legale come “residente”, tanto che vi era un termine diverso per definirlo, non ger, ma nekar o zar.

Ma questi migranti non sono forse alla ricerca di una vita migliore? Certo, la maggioranza, e dovremmo accogliergli, se arrivano legalmente. Non possiamo però ignorare il fatto che molti altri non hanno alcuna intenzione di diventare ”buoni vicini”, ma sono avventurieri, criminali, terroristi al soldo di organizzazioni politiche e religiose, gente disposta a commettere crimini, o venuta semplicemente per sfruttare la buona fede e le risorse di un paese senza avere intenzione di ottenere un lavoro onesto e produttivo. E’ necessario farne accurata selezione.

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