sabato 5 gennaio 2013

"Velo" e "pena di morte": testi biblici imbarazzanti?

Mi scrivono:  "Caro Paolo, sono contrario al sistema di interpretazione "critico-storico" però ho delle difficoltà di interpretazione di certi passi della Bibbia del tipo di 1 Corinzi 11 (sul velo delle donne nel culto) come pure su quei testi dell'Antico Testamento che prevedono la pena di morte per i trasgressori di alcune leggi morali di Dio. Come vanno interpretati?".

Rispondo in modo sommario, riconoscendo che, nell'attuale clima culturale, soprattutto dove prevale il liberalismo teologico e morale, certi testi possano essere indubbiamente "imbarazzanti". Credo, però, che sia possibile distinguerci sia dal letteralismo indiscriminato che dalla relativizzazione del "metodo storico-critico", applicando una lettura teologica del testo biblico, indubbiamente "conservatrice", ma che evita certe irragionevoli radicalizzazioni. 
Il velo. «Di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l'uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo. E infatti non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza» (1 Corinzi 11).
Un testo biblico come questo va compreso tenendo conto del principio che esso intende esprimere. Errata sarebbe sia l’interpretazione letteralistica (“Dobbiamo ubbidirvi alla lettera”), sia quella che ce lo vorrebbe far intendere come “inapplicabile” perché legato alle concezioni del tempo (la prospettiva “storico-critica”). 

Il principio che l’Apostolo qui vuole comunicare è che il cristiano, uomo o donna che sia, è una persona subordinata, sottomessa alla’ordine della legge morale stabilita da Dio. Questa legge morale è espressa negli ordinamenti creazionali e nella legge morale mosaica, così com’è riaffermata ed interpretata sovranamente dal Signore Gesù Cristo nell’ambito dell’insegnamento del Nuovo Testamento. Qualsiasi cosa che, nell’ambiente e nella cultura in cui noi viviamo, comunicasse in qualche modo agli altri che ci osservano l’idea (anche solo esteriormente) che noi siamo persone insubordinate e ribelli a questi ordinamenti (così come lo sono “quelli del mondo” e il paganesimo "cristianizzato"), noi ci comporteremmo in modo inappropriato. 

In che modo noi manifestiamo il rispetto degli ordinamenti della legge morale espressi, per esempio, dal Decalogo? In che modo il nostro comportamento (anche esteriore) lo testimonia? Si potrebbe prendere ciascuno di quei comandamenti e chiederci in che modo, nellambiente in cui viviamo, noi dimostriamo la nostra ubbidienza ad essi o in che modo particolari nostri comportamenti non dessero buona testimonianza in quel senso. 

Per venire a questo caso particolare, che ci piaccia oppure no, nella prospettiva biblica, la donna ha un ruolo subordinato e sussidiario rispetto all’uomo. Essa ha pari dignità, ma l’uomo e la donna hanno ruoli diversi da assolvere. Nella società antica il capo coperto della donna testimoniava la sua legittima subordinazione, il capo scoperto un atteggiamento provocatorio ed insubordinato come pure decisamente immorale. Allora l’irruenza e l’indisciplina di alcune donne di Corinto nella comunità cristiana doveva essere ripresa dall’Apostolo. Oggi il portare o non portare un copricapo non è più rilevante, ma rimane il principio da rispettare della diversità dei ruoli fra uomo e donna, la proprietà dell’abbigliamento e dell’ordine nel culto, cosa che dev’essere testimoniata. Contraddirebbe oggi questo principio dei costumi “unisex” o atteggiamenti provocatori tali da livellare le differenze dei sessi. Sono da condannare, per esempio, le pretese di certo femminismo, oppure la confusione prodotta dalle degenerazioni del movimento omosessuale. 

Dobbiamo quindi chiederci in che modo noi testimoniamo nella società la nostra osservanza dei principi biblici. Il cristiano, uomo o donna che sia, è una persona subordinata. Il cristiano riconosce Cristo come suo Signore e intende vivere in modo a Lui ubbidiente. Il malinteso egualitarismo della nostra società è da contestare, così come lo è la malintesa “libertà” che va predicando. In che modo oggi come cristiani ci differenziamo dall’insubordinazione del liberismo e del paganesimo “cristianizzato”? In questo senso il testo dell’Apostolo rimane attuale al di là dei costumi a cui faceva riferimento.
La pena di morte. "Quando una fanciulla vergine è fidanzata, e un uomo, trovandola in città, pecca con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete così che muoiano: la fanciulla, perché essendo in città non ha gridato, e l'uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così toglierai il male da te" (Deuteronomio 22:23).
La pena di morte prevista dalla legge di Dio in diversi casi nell’Antico Testamento doveva rilevare esemplarmente l’estrema serietà dell’infrazione agli ordinamenti morali stabiliti da Dio sul comportamento umano, in particolare per quanto riguarda la santità del matrimonio e l’uso del sesso. “Poiché tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione” (Romani 15:4). 

La prospettiva cristocentrica evidenzia il ravvedimento ed il recupero del trasgressore (non la sua soppressione fisica), il giusto giudizio, come pure la pratica della disciplina di chiesa che estromette il peccatore ostinato ed impenitente. “Se rifiuta d'ascoltarli, dillo alla chiesa; e, se rifiuta d'ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano” (Matteo 18:17), il che equivale ad una sorta di “condanna a morte”. 

Nelle chiese “liberali”, non solo la legge morale di Dio è relativizzata, ma la disciplina è pressoché inesistente e tutto viene permesso e giustificato in nome della malintesa “grazia” e “libertà”. Perché? “Perché si sono infiltrati fra di voi certi uomini (per i quali già da tempo è scritta questa condanna); empi che volgono in dissolutezza la grazia del nostro Dio e negano il nostro unico Padrone e Signore Gesù Cristo” (Giuda 4). 

Secondo la Legge di Dio, ribadita nel Nuovo Testamento, bisogna poi tenere conto della legittimità da parte del magistrato civile del “portare” e fare uso della “spada” per liberare la società dagli elementi più pericolosi che mettono a rischio l’ordinata convivenza sociale, “perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano; infatti è un ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il male” (Romani 13:4). 

Anche in questo caso gran parte della società moderna, di fatto, non è affatto “giusta” come pretende di essere, ma, proteggendo i criminali impenitenti ed irriformabili, pone le basi della sua stessa autodistruzione.

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