sabato 22 giugno 2013

Promuovere ubbidienza (Studi sul Decalogo, 4).

Terminiamo oggi l'esposizione delle regole di interpretazione del Decalogo come sono espresse dal Catechismo Maggiore di Westminster (vedasi la panoramica a questo indirizzo).

Il principio che le regole 7 e 8 esprimono è oggigiorno particolarmente importante: l'ubbidienza ai comandamenti non è solo una "questione privata", non si tratta soltanto di una persuasione personale che ci dobbiamo "tenere per noi stessi" quasi che il comportamento altrui non ci riguardasse e dovessimo "rispettare" le altrui scelte, qualunque esse fossero. L'ubbidienza a quanto il Decalogo prescrive la dobbiamo promuovere attraverso l'esempio, il dialogo atto a persuadere gli altri della sua bontà e l'azione mirata a prevenire la sua infrazione. Questo principio parte dal presupposto che la Legge morale di Dio è una legge oggettiva data a tutte le creature umane per il loro bene. Promuovere l'ubbidienza al Decalogo in modo appropriato, quindi, è espressione di responsabilità e di cura verso l'altrui bene, un'espressione d'amore.  Questo principio contesta quindi l'idea che la moralità sia una questione soggettiva; esso si oppone quindi al moderno relativismo etico.

Il Catechismo afferma:
D. 99. Quali regole devono essere osservate per la retta comprensione dei Dieci Comandamenti? R. Per la retta comprensione dei Dieci Comandamenti devono essere osservate le seguenti regole: [...]
7. Che ciò che è proibito o comandato a noi stessi, noi siamo tenuti, secondo lo stato in cui siamo stati posti, a fare in modo che sia evitato o eseguito da altri, secondo i doveri propri della loro condizione.
8. Che in ciò che è comandato ad altri, noi siamo vincolati, secondo il nostro stato e vocazione, ad essere loro d’aiuto; come pure ad aver cura di non prendere parte con altri ciò che sia loro proibito.
L'intenzione di queste due ultime regole di interpretazione dei Dieci Comandamenti, quindi, è la nostra responsabilità per il benessere morale del nostro prossimo. Queste due regole ci rammentano come la giustizia, l'ubbidienza alla volontà di Dio, non sia semplicemente una questione individuale, ma che riguarda anche la nostra considerazione per gli altri. Sebbene sia vero che, alla fin fine, ciascuno dovrà rendere conto di sé stesso davanti a Dio, dobbiamo rammentarci che parte di quella responsabilità ha a che fare pure con l'effetto della nostra vita sul benessere morale degli altri.

L'espressione "secondo i doveri della loro condizione" prevede che, quando dobbiamo determinare il grado e la natura della nostra responsabilità verso il carattere e la vita morale degli altri, la nostra posizione nella società ed il nostro rapporto con gli altri, dobbiamo prendere in considerazione altri fattori. Ad esempio, la responsabilità di un genitore per i suoi figli è molto più grande della responsabilità dei figli (non adulti) verso i loro genitori. Eppure anche un bambino ha la responsabilità di sforzarsi, secondo la condizione in cui si trova, che i suoi genitori pratichino ciò che è giusto ed evitino ciò che è sbagliato agli occhi di Dio. Allo stesso modo un responsabile di una comunità cristiana ha una maggiore influenza sui membri di essa di quanto ce n'abbiano essi individualmente, e questo a causa della sua posizione d'autorità, e quindi il suo esempio e possibile influenza è particolarmente importante. In ogni caso ciascuno esercita la propria responsabilità.

Abbiamo il dovere di fare in modo che altri pratichino la giustizia ed evitino ciò che è peccato in molti modi.
  1. Dando noi stessi il buon esempio; 
  2. testimoniando verso gli altri, o cercando di persuaderli a seconda delle occasioni che ci vengono offerte;
  3. esercitando qualsiasi misura di autorità che ci sia legittimamente accordata. 
I primi due metodi possono e devono essere praticati da tutti i cristiani; il terzo metodo è limitato a quelle persone alle quali è stata affidata autorità nella famiglia, nella chiesa, o nello stato. 

Ogni cristiano, così, dovrebbe essere di esempio nel come osservare il giorno del riposo e cercando di persuadere altri a rispettarlo. Se però quel cristiano è un genitore, dovrebbe proibire ai suoi figli di violarlo. Un impiegato dello Stato deve promuovere l'onestà con l'esempio e la testimonianza, ma potrebbe pure essere suo dovere esercitare la sua autorità denunciando chi si rende responsabile di furti. In ogni caso, l'esercizio dell'autorità deve essere limitato alla misura che gli è stata accordata da Dio ed alla natura del rapporto con le persone implicate.

Vi sono pure molti modi in cui possiamo essere utili agli altri, in dipendenza dalle circostanze. Possiamo sempre essere utili cercando di comprendere le difficoltà e le tentazioni che gli altri devono affrontare e mantenere verso di loro un atteggiamento di comprensione. Dobbiamo cercare di evitare uno spirito critico indebito, e persino quando sarebbe nostro dovere rimproverare qualcuno, noi lo dovremmo fare con gentilezza ed amore cristiano, non con un atteggiamento aspro pensando di essere più giusti di loro. Se qualcuno sta affrontando una dura lotta contro il peccato, la tentazione o lo scoraggiamento, dovremmo aiutarlo attraverso l'incoraggiamento. Non dovremmo mai rallegrarci nell'iniquità, o prendere piacere segreto nel vedere altri che sbagliano e per questo pagano. Evitare ogni pettegolezzo sugli sbagli altrui può fare molto per guarire le ferite aperte della chiesa visibile.

"Aver cura di non prendere parte con altri di ciò che sia loro proibito" significherebbe incoraggiarli a fare ciò che è sbagliato e quindi ci farebbe incorrere nella stessa colpa, anche se la cosa non fosse a noi proibita. È sbagliato, per esempio, accettare un passaggio in un'auto che sia stata rubata se sappiamo che l'auto è stata rubata. Accettare un passaggio non è sbagliato, ma in questo caso significherebbe partecipare al crimine di un'altra persona. Allo stesso modo è ovviamente sbagliata la ricettazione, acquistare cioè della merce che sappiamo essere stata rubata. Se, ancora per esempio, ad un bambino è stato proibito di uscire un giorno di casa per andare ad una partita di pallone, è sbagliato accompagnarcelo noi, incoraggiandolo così nella disubbidienza all'autorità dei suoi genitori.

Vi vengono in mente altri casi ed esempi? Esprimeteli commentando questa nota.


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