48. D. In che modo Cristo si è umiliato nella Sua morte?
R. Cristo si è umiliato nella Sua morte, nel fatto che, dopo essere stato tradito da Giuda, abbandonato dai Suoi discepoli, deriso e respinto dal mondo, condannato da Pilato, e tormentato dai Suoi persecutori; dopo aver affrontato le angosce della morte e la potenza delle tenebre, sentito e portato su di Sé il peso dell'ira di Dio, ha deposto la Sua vita come offerta per il peccato, sopportando la dolorosa, vergognosa e maledetta morte di croce. (Catechismo Maggiore di Westminster, D/R 49).La morte dell'eterno Figlio di Dio come uomo sulla croce del Calvario, può essere considerato davvero il punto più basso al quale Egli avrebbe potuto giungere per amor nostro, Suo popolo. Diciamo "come uomo", ma si tratta di un eufemismo. Quella morte, infatti, era la peggiore alla quale un qualsiasi essere umano avesse potuto mai allora essere sottoposto, un essere umano completamente spogliato di qualsiasi dignità, diritto o considerazione, come una pecora da macello, anzi, schiacciato come un verme. Il paragone è del tutto biblico: "Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca" (Isaia 53:6); "Ma io sono un verme e non un uomo, l'infamia degli uomini, e il disprezzato dal popolo. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo" (Salmo 22:6-7).
Potremmo accostarlo a come erano stati trattati, nel XX secolo, gli ebrei nei campi di sterminio nazisti, non più come esseri umani, anzi, "peggio che bestie", privati dei loro diritti più elementari, indegni della benché minima considerazione. Potremmo pure pensare alle immani stragi di esseri umani non ancora venuti alla luce ed ai quali si nega dignità umana ed il diritto di nascere attraverso la diffusa pratica dell'aborto.
In ogni caso, la pena della crocifissione era riservata allora a coloro ai quali era negata ogni diritto umano, gli schiavi, quando si ribellavano. Gesù, il Cristo, accetta di fare la fine di quelli che erano considerati allora non-uomini. Questo è importante rilevarlo: Gesù muore per Sua precisa scelta: "Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio»" (Giovanni 10:17-18).
La morte di Gesù, quindi, ha un valore unico nel suo genere. Gesù muore, non di malattia, incidente o di vecchiaia; non semplicemente come una vittima di ingiustizia ed oppressione né come martire di una grande causa, ma come sacrificio per il peccato, sostituendosi a dei peccatori. E' il valore teologico della morte di Gesù, cosa che il mondo incredulo e, fra l'altro, anche l'ebraismo moderno e l'Islam, ovviamente, rifiuta di accettare, nega o mette in ridicolo. Sta di fatto che la morte di Gesù, il Cristo, in croce sia il punto centrale del messaggio dell'intera Bibbia, anzi, quel che è dichiarato essere il punto focale della stessa storia del mondo, il fatto centrale del messaggio dell'Evangelo, ed il fondamento della nostra speranza di vita eterna. Il nostro Salvatore offre la Sua vita in sacrificio a Dio per espiare la pena che i nostri peccati meritano, al posto nostro.
L'umiliazione della morte del Cristo in croce, come mette in evidenza la D/R del nostro catechismo, tocca anche altri punti che le sono di corollario.
1. Il tradimento del discepolo Giuda. Giuda non era un estraneo, o un nemico giurato del Cristo, ma una persona che era stata accolta a speciali privilegi ed amicizia con Gesù, nel circolo dei dodici apostoli. "Anche l'amico con il quale vivevo in pace, in cui avevo fiducia, e che mangiava il mio pane, si è schierato contro di me" (Salmo 41):9), "Se mi avesse offeso un nemico, l'avrei sopportato; se un avversario avesse cercato di sopraffarmi, mi sarei nascosto da lui; ma sei stato tu, l'uomo ch'io stimavo come mio pari, mio compagno e mio intimo amico. Ci incontravamo con piacere; insieme, tra la folla, andavamo alla casa di Dio" (Salmo 55:12-14).
2. L'abbandono del Suoi discepoli. La condotta dei discepoli di Gesù mostrava, almeno per un tempo, come essi fossero molto più interessati alla sicurezza personale che alla fedeltà verso il loro Maestro. La paura in loro era stata più forte dell'amore verso Cristo.
3. Gli orrori della morte. Gesù affronta l'angoscia della morte nel Giardino del Getsemani, la notte prima di essere crocifisso. "Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e cominciò a essere spaventato e angosciato. E disse loro: «L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate»" (Marco 14:33-34).
4. La condanna da parte di Pilato. Proprio perché si trattava di una condanna ingiusta, Pilato, il Governatore romano, sedeva come giudice, il rappresentante ufficiale di un'istituzione dello Stato. Pilato, che era stato nominato per amministrare la giustizia, condanna Gesù Cristo ingiustamente, cioè contrariamente alle evidenze del caso.
5. Il peso dell'ira di Dio. Questo è il punto forse più importante, anche se è il meno compreso e persino citato oggi fra i cristiani stessi. La negligenza di questo punto è spesso causata da una concezione "romantica" (e quindi distorta) di Dio stesso che non tiene conto della logica implacabile ma giusta della Sua giustizia e della Sua santità, la quale che esige (è un imperativo ineludibile) che il peccatore sia condannato, ed "al massimo della pena". Gesù sente e porta tutto il peso dell'ira di Dio contro il peccato umano per l'intero corso della Sua vita sulla terra, ma particolarmente al termine della Sua vita terrena, nel Giardino del Getsemani e soprattutto durante le tre ore di tenebre mentre Egli era appeso alla croce, dall'ora sesta all'ora nona, terminando con il Suo grido: "All'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì lamà sabactàni?» che, tradotto, vuol dire: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato"' (Marco 13:34).
Non esprimeremo mai abbastanza la nostra riconoscenza per quanto compiuto dal Signore e Salvatore Gesù Cristo per salvarci dal peccato e dalle sue conseguenze. E' importante quindi comprenderlo sempre meglio approfondendo quanto le Sacre Scritture ci dicono al riguardo.
L'umiliazione della morte del Cristo in croce, come mette in evidenza la D/R del nostro catechismo, tocca anche altri punti che le sono di corollario.
1. Il tradimento del discepolo Giuda. Giuda non era un estraneo, o un nemico giurato del Cristo, ma una persona che era stata accolta a speciali privilegi ed amicizia con Gesù, nel circolo dei dodici apostoli. "Anche l'amico con il quale vivevo in pace, in cui avevo fiducia, e che mangiava il mio pane, si è schierato contro di me" (Salmo 41):9), "Se mi avesse offeso un nemico, l'avrei sopportato; se un avversario avesse cercato di sopraffarmi, mi sarei nascosto da lui; ma sei stato tu, l'uomo ch'io stimavo come mio pari, mio compagno e mio intimo amico. Ci incontravamo con piacere; insieme, tra la folla, andavamo alla casa di Dio" (Salmo 55:12-14).
2. L'abbandono del Suoi discepoli. La condotta dei discepoli di Gesù mostrava, almeno per un tempo, come essi fossero molto più interessati alla sicurezza personale che alla fedeltà verso il loro Maestro. La paura in loro era stata più forte dell'amore verso Cristo.
3. Gli orrori della morte. Gesù affronta l'angoscia della morte nel Giardino del Getsemani, la notte prima di essere crocifisso. "Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e cominciò a essere spaventato e angosciato. E disse loro: «L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate»" (Marco 14:33-34).
4. La condanna da parte di Pilato. Proprio perché si trattava di una condanna ingiusta, Pilato, il Governatore romano, sedeva come giudice, il rappresentante ufficiale di un'istituzione dello Stato. Pilato, che era stato nominato per amministrare la giustizia, condanna Gesù Cristo ingiustamente, cioè contrariamente alle evidenze del caso.
5. Il peso dell'ira di Dio. Questo è il punto forse più importante, anche se è il meno compreso e persino citato oggi fra i cristiani stessi. La negligenza di questo punto è spesso causata da una concezione "romantica" (e quindi distorta) di Dio stesso che non tiene conto della logica implacabile ma giusta della Sua giustizia e della Sua santità, la quale che esige (è un imperativo ineludibile) che il peccatore sia condannato, ed "al massimo della pena". Gesù sente e porta tutto il peso dell'ira di Dio contro il peccato umano per l'intero corso della Sua vita sulla terra, ma particolarmente al termine della Sua vita terrena, nel Giardino del Getsemani e soprattutto durante le tre ore di tenebre mentre Egli era appeso alla croce, dall'ora sesta all'ora nona, terminando con il Suo grido: "All'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì lamà sabactàni?» che, tradotto, vuol dire: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato"' (Marco 13:34).
Non esprimeremo mai abbastanza la nostra riconoscenza per quanto compiuto dal Signore e Salvatore Gesù Cristo per salvarci dal peccato e dalle sue conseguenze. E' importante quindi comprenderlo sempre meglio approfondendo quanto le Sacre Scritture ci dicono al riguardo.
Vedi ulteriori approfondimenti nella pagina wiki dedicata a questa D/R.
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