martedì 25 dicembre 2012

Il “feticcio” della Confessione di fede valdese del 1655?


Sto cominciando ad elaborare un corso sulle confessioni di fede della Riforma e, in particolare sulla Confessione di fede della chiesa valdese (1655) che utilizzerò, nel mese di gennaio, in rapporto ai fratelli e sorelle di www.valdesi.eu in collegamento audio-video via Skype con diversi credenti sparsi per l’Italia. Queste confessioni di fede sono veramente dei “gioielli” perché, lungi dall’essere “condizionate dal loro tempo” (come alcuni pretendono essere), riflettono di fatto in modo eccellente la verità del messaggio (eterno) delle Scriitture.

Una delle difficoltà per far comprendere a chi ragiona con i presupposti della teologia liberale, l’importanza di queste confessioni (con gli altri è un altro discorso) è che, di fatto, esse vengono da loro ritenute “superate”. Perché? Perché non interpretano la Bibbia secondo i criteri del moderno metodo storico-critico.

L’introduzione del metodo storico-critico nella lettura della Bibbia ha costituito per le chiese che l’hanno accolto, una tale rivoluzione nella comprensione del ruolo normativo della Sacre Scritture da vanificare millenni di pensiero prima ebraico e poi cristiano, quello che “ingenuamente” credeva che la Bibbia fosse Parola di Dio.

Comprendendo sé stesso come “un modo illuminato” di leggere la Bibbia, tutto ciò che è basato sui “vecchi” presupposti viene ora considerato “ormai superato” perché basato su un “inaccettabile biblicismo”. In quest’ultima categoria, infatti, sono considerate rientrare tutte le confessioni di fede della Riforma che rimangono per loro, al di là delle dichiarazioni formali, un imbarazzante retaggio di un’epoca ormai passata ed un’evidente contraddizione con l’attuale insegnamento di queste chiese. Dire che queste confessioni stiano alla base dell’identità di queste chiese ed addirittura pretendere che i candidati al ministero pastorale le sottoscrivano è del tutto insensato, crea ipocrisia e si rivela come un fondamentale inganno di chi non è consapevole di quanto in esse sia avvenuto. La cosa, difatti, viene giustificata con espedienti di vario tipo, considerandola o come “un ideale ricongiungimento al passato”, o come un “atto di omaggio” ai propri antenati nella fede, una sorta di cerimoniali “onoranze funebri”, senza preoccuparsi minimamente dell’effettiva “compatibilità” fra loro e quelli che onorano (“chi se ne importa, tanto ormai sono morti”...).

La Confessione di Fede della Chiesa valdese, ad esempio, che appunto sta formalmente alla base di questa chiesa e deve essere sottoscritta, viene non raramente considerata “un feticcio” (così l’ha definita in un forum un’esponente di detta chiesa), è praticamente ignorata e sconosciuta nelle chiese e viene privata di qualunque valore disciplinare perché “comunque” (si dice) ogni pastore è libero di predicare come in coscienza crede di dover fare (anche in contraddizione con essa). Spesso, infatti, si sente poi dire: “Dovrebbe essere aggiornata e rivista alla luce delle Scritture e del nostro modo attuale di vederle”.

Di fatto basta leggere le presentazioni su Internet di molte chiese valdesi locali per rilevare le più stupefacenti contraddizioni e la più totale confusione dottrinale (in barba alla vantata loro “eccellenza teologica”). Esempi di questo possono essere accertati passando in rassegna i siti web di comunità valdesi, ad esempio, quella di Torino, oppure di Pinerolo. Se da una parte, infatti, si afferma che “La confessione di fede valdese del 1655 sta alla base della nostra chiesa” dall’altra e non tanto lontano in altri documenti, ma persino nella stessa pagina, il redattore non sembra avere alcuna vergogna di introdurre affermazioni totalmente contradditorie rispetto non solo a quella confessione, ma anche rispetto alla cristologia degli antichi credo, cose che in altri tempi avrebbero meritato l’immediata espulsione dal consesso di quella chiesa. Oggi, però, sembra che sia possibile insegnare tutto e il contrario di tutto, in omaggio al relativismo imperante ed alla “sacrosanta libertà” sbandierata come, - questo sì - il valore assoluto ed imprescindibile del “vero” protestantesimo (liberale, appunto). Non sarebbe più onesto per la chiesa valdese “liberarsi” una volta per sempre della sua antica confessione di fede, rendendola non più normativa, come le chiese “consorelle” della svizzera chiesa evangelica riformata del Canton Grigioni, che hanno persino cancellato il nome della Confessione di Fede Elvetica posteriore, che cent’anni fa (prima della vittoria del liberalismo) era obbligatoria! Ai candidati pastori si chiede ormai promettere un generico riferimento alle Sacre Scritture, alla tradizione protestante (qualunque cosa significhi), ma la diligente conformità ai regolamenti attuali di quella chiesa, modificati di anno in anno secondo esigenze pragmatiche.

Di fatto “lo spirito dei tempi” è l’unica vera autorità ultima di queste chiese. L’antica chiesa biblica di Efeso, però, aveva voltato le spalle a quello spirito. L’apostolo, infatti, scriveva: “...un tempo vi abbandonaste seguendo l'andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell'aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli” (Efesini 2:2). I “moderni” però, sembra che siano di tutt’altro avviso...

Insomma, lavoro arduo (qualcuno dice impossibile) fare ritornare queste chiese sugli “antichi sentieri”. Sono partite ormai per la tangente e presto scompariranno da sole dall'orizzonte?

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