mercoledì 25 settembre 2013

Le implicazioni della "fede implicita"

Nel mio "interminabile" lavoro di traduzione e di commento dei Canoni di Westminster, mi sono imbattuto ieri in un concetto che già conoscevo ma sul quale non avevo ancora forse bene riflettuto. Si tratta del concetto di "fede implicita" che nell'ambito del Cattolicesimo romano comporta a tutt'oggi innumerevoli implicazioni.

Nella Confessione di fede lo ritroviamo (contestato) nel secondo articolo del capitolo 20, laddove si parla della libertà cristiana. Eccolo:
"Dio soltanto è Signore della coscienza. Egli l'ha lasciata libera dalle dottrine e dai comandamenti degli uomini allorché, in materia di fede e di culto, essi siano in qualsiasi modo contrari [avversi] alla Parola o intendano supplementarla. Cosicché, credere a tali dottrine o ubbidire a tali comandamenti per [dovere di] coscienza, significa [di fatto] tradire la vera libertà di coscienza. Richiedere [per essi] fede implicita e un'ubbidienza assoluta e cieca significa [di fatto] distruggere sia la libertà di coscienza che la stessa ragione" (CFW 20:2).
In altre parole, l'articolo dice: Dio solo è Signore sulla coscienza e l'ha liberata, emancipata, dal doversi sottomettere a quelle dottrine e comandamenti stabiliti dall'uomo che siano in qualsiasi modo contrari alla sua Parola, o collaterali ad essa (che intendano in qualche modo "integrarla") per quanto riguarda la fede o il culto (la religione intesa come complesso dei nostri personali valori ultimi). Perciò, credere a tali dottrine e obbedire a tali comandamenti (umani) solo per dovere ("per motivo di coscienza"), significa tradire la vera libertà di coscienza. Esigere una fede implicita o un obbedienza assoluta e cieca, significa di fatto annientare la vera libertà di coscienza e la ragione stessa.

Il credente (riformato), così, dice: "Non puoi impormi, dicendo che è mio dovere, l'ubbidienza indiscutibile e fiduciosa a delle norme che contraddicano o travalichino quanto afferma la Parola di Dio e questo sulla base della tua presunta autorità o maggiore competenza. Io sono tenuto in coscienza a credere ed ubbidire solo a quanto afferma la Parola di Dio, attraverso la quale si esprime la signoria di Dio su di me. Non puoi impormi 'un dovere di coscienza' e di fede verso tali norme, perché di fatto quello equivarrebbe a 'tradire la coscienza' ed essere irragionevoli". Si fa qui, così, la netta distinzione fra l'autorità oggettiva della Parola di Dio (la sola che possa accampare diritti sulla coscienza) e l'autorità umana (per quanto la si giustifichi, sacralizzi e legittimi). L'autorità umana è sempre discutibile. Siamo liberi rispetto alle pretese umane e obbligati solo verso la Parola di Dio. E' uno dei principi di base del Protestantesimo.

L'aggettivo "implìcito" (dal lat. implicĭtus, part. pass. di implicare, propriamente «inviluppato, incluso nelle sue pieghe») è detto di giudizio o concetto o fatto che, senza essere formalmente ed espressamente enunciato, espresso, è tuttavia presente, contenuto, sottinteso, in un altro giudizio o concetto o fatto. Da questo deriva il concetto di "fede implicita", quella fede che, pur senza che io la comprenda o la esprima, è professata dalla chiesa o famiglia alla quale appartengo. Si pone così il problema: è valida? E' legittima? Può "salvarmi"? Posso avvalermene? Può essermi attribuita? E, nel nostro caso: può essermi imposta?

Il concetto di "fede implicita" (a differenza di quella esplicita) è qui un concetto di derivazione tomista. Tommaso d'Aquino, infatti, distingue tra fede implicita ed esplicita, verità primarie e secondarie, conoscenza dei dotti e conoscenza delle "persone semplici". Queste ultime, difatti, egli scrive, possono essere salvate attenendosi agli elementi essenziali della fede anche senza comprendere o accettare l'intero complesso della conoscenza teologica. Per il resto, però, dipendono, implicitamente dai "maggiorenti" (chi ne sa di più e/o è investito d'autorità.
"...l'esplicitazione delle cose di fede è indispensabile alla salvezza (...) tutti sono tenuti ugualmente a credere in maniera esplicita. (...) Se la gente del popolo non è tenuta ad avere una fede esplicita, ma implicita soltanto, è obbligata ad avere una fede implicita sulla fede dei maggiorenti. (...) Per rendere esplicite le cose di fede ci vuole la rivelazione di Dio (...) Ma la rivelazione divina giunge agli inferiori attraverso i superiori, (...) Per lo stesso motivo è necessario che anche tra gli uomini l'esplicitazione della fede negli inferiori dipenda dai superiori. (...) gli uomini più dotati, che hanno il compito di istruire gli altri, sono tenuti ad avere una conoscenza più vasta delle cose di fede e a credere in maniera più esplicita. (...) La fede esplicita nelle cose di Dio non è ugualmente necessaria per tutti: perché i maggiorenti, che hanno il compito di insegnare, sono tenuti a credere più cose che gli altri. Le persone semplici non devono essere esaminate sui più minuti articoli di fede" (Summa Theologica, Q. 2, Art 6). 
Ecco quindi l'abuso che del concetto di "fede implicita" fanno le autorità ecclesiastiche cattolico-romane. Essa sarebbe "la fede" di quella chiesa che ti richiede l'accettazione tacita e indiscussa di una qualche dottrina che essa insegna, non tanto per tua persuasione o perché la comprendi, ma sulla base della tua "doverosa" e indiscussa sottomissione al suo magistero, ritenuto infallibile, oppure alla "sapienza superiore" dell'erudito che ne sa più di te.  

Si potrebbe dire che è una "fede per interposta persona", "credo in te che ci credi, mi fido"; "Non lo comprendo ma, se lo dice, lo accetto e mi sottometto anche se non ne sono totalmente persuaso". E' la fede dei figli piccoli di genitori credenti, però,  la fede della chiesa o dei tuoi genitori non ti salverà a meno che tu non sia un minore o un minorato... ed è chiaro l'abuso che si fa di questo concetto: non è forse vero che "è interesse" di certo Cattolicesimo di mantenere nell'ignoranza "la gente del popolo" e di renderla dipendente da sé per conservare il suo potere su di loro con il pretesto di "proteggerla"? L'infantilismo nella fede ad alcuni "conviene"!

Se si potrebbe anche dire volontariamente (ammesso e non concesso che sia valido) io possa attenermi ad autorità delle quali ho fiducia, si tratta qui di qualcosa di più: è quando "il magistero" o l'erudito "ti costringe" ad accettare quel che dice perché afferma che ha l'autorità di stabilirlo o che ne sa più di te e tu hai il dovere di crederlo. Quel "dovere di crederlo" in realtà distrugge la libertà della tua coscienza e la stessa ragionevolezza. La nostra Confessione di fede denuncia così come falsa e invalida una "fede implicita" ed acritica verso autorità umane, il costringere la coscienza a sottomettersi ad un'autorità discutibile diversa dalla Parola di Dio, ed afferma la libertà del cristiano dalle istanze umane. Essa denuncia il signoreggiare sulla fede delle persone imponendo precetti umani.

L'abuso del concetto di "fede implicita", però, non riguarda soltanto il Cattolicesimo romano, e non riguarda neanche solo le sétte che impongono ubbidienza cieca (variamente giustificata) ai loro adepti, ma può succedere anche nel mondo delle chiese evangeliche. Non è inconsueto, infatti, che organismi ecclesiastici e pastori presuppongano valide ed impongano dottrine e prassi non esplicitamente insegnate e prescritte dalla Parola di Dio? Questo può avvenire nell'ambito del culto: imporre nell'ambito del culto forme e elementi non prescritti dalla Parola di Dio significa far violenza alla coscienza dei fedeli. Che dire, poi, quando ci si attiene (senza verifiche) a quanto affermano i teologi "più accreditati" e popolari, perché si presume che loro "ne sanno di più"?

Si potrebbero menzionare altri aspetti del problema. Credo che però valga la pena pure menzionare che pure la contestazione al concetto di "fede implicita" possa essere ed è spesso abusata. Dicevamo: "Siamo liberi rispetto alle pretese umane e obbligati solo verso la Parola di Dio". Oggi, però, il laicismo (inteso in senso lato) contesta che le Sacre Scritture siano ipso facto Parola di Dio e quindi che noi si sia in qualche modo obbligati anche verso di esse. Saremmo quindi liberi da qualsiasi autorità esterna alla nostra coscienza e responsabili solo verso noi stessi. Si tratta del soggettivismo /individualismo tipico del liberalismo teologico che non ammette autorità esterne alla nostra coscienza e che così pretende di essere espressione "autentica" (?) del Protestantesimo. Si tratta, però, di un'evoluzione perversa del concetto protestante di libertà. L'autentico protestante si sottomette all'autorità della Parola di Dio, e nemmeno all'assolutismo della propria coscienza, che così rimarrebbe asservita al soggettivismo spesso male informato (e di fatto "ad ogni vento di dottrina"). C'è quindi molto da riflettere su queste questioni! 

2 commenti:

  1. Ottimo articolo, mi riprometto di rileggerlo con più tempo e confrontarmi con i suoi contenuti.

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  2. Concordo con Luca e con la chiusa dell'articolo: c'è da riflettere molto su queste questioni, anche perché non ho avuto avuto modo di affrontare un tema così delicato e per certi aspetti complesso.

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